“Non è ancora finita, dovrà passare ancora del tempo ma io voglio conoscere la verità fino in fondo”. Va giù duro Nino Salamone, il papà di Valentina, la giovane e solare ragazza ritrovata con un cappio al collo nei pressi di una villetta di Adrano, in provincia di Catania. Una delle tante storie di femminicidio, non possiamo che chiamare così la fine di una ragazza innamorata diventata forse troppo ingombrante. La vicenda, comune a tante altre, è il solito “ménage à trois”: lui, lei e l’altra. Lui è Nicola Mancuso, un 33enne pregiudicato, tre figli e la giovane moglie Piera. L’altra, Valentina, 19 anni di vitalità, due occhi magnetici, un volto luminoso, un corpo perfetto il cui unico peccato è l’amore smodato per il soggetto sbagliato. “Sono convinto che la mia Valentina sia stata ammazzata, combatto da dieci anni e non mi do per vinto finché la giustizia non avrà fatto completamente il proprio corso”. Mancuso è stato condannato in primo grado all’ergastolo ma la difesa non demorde, chiede ancora confronti, propone nuove testimonianze, fa di tutto perché quella sentenza venga rivista cercando ipotetici colpevoli. Ma come sono andate le cose nella tragica morte di Valentina? Secondo suo padre, l’uomo condannato nel 2019 potrebbe essere stato aiutato da altre persone e, riannodando i fili forse qualche sospetto può balenare. Ripercorriamo la storia a ritroso. Valentina Salamone di Biancavilla, un centro di 23mila anime vicino al vulcano Etna, è giovane, desiderabile, inesperta. La sua ansia di amore, il desiderio di sentirsi grande, importante, la guidano verso una strada irta di ostacoli e priva di avvenire: una relazione extraconiugale divenuta in fretta scomoda per Mancuso il cui nome, fra l’altro è associato alla omonima cosca. Ė un venerdì di luglio del 2010, quando la coppia viene invitata a una festa in un villino di Adrano, paese vicino a Biancavilla. Da quel momento di Valentina si perdono le tracce. Invano la mattina dopo, sabato 24, i genitori la chiamano al telefono che resta inesorabilmente muto. Poche ore dopo un operaio dell’Enel che lavora nei pressi del villino si trova di fronte una scena agghiacciante: il cadavere di Valentina. Una posa che, di primo acchito fa pensare che si tratti di un manichino, tanto la scena è stata costruita per farla sembrare un suicidio. La ragazza ha ancora i vestiti indossati per la festa, il corpo è appeso a una trave che sorregge la tettoia di lamiera di un capannone. Una mano è intrecciata alla corda da cui, forse, ha tentato invano di liberarsi. Dopo i rilievi di rito, si decide di riconsegnare abiti e scarpe ai genitori e quel gesto dà una svolta determinante all’inchiesta. La famiglia Salamone conduce ulteriori indagini affidandosi a esperti che fanno scoperte determinanti. Dalle scarpe vengono rilevate tracce di sangue del presunto assassino e non solo. Ci sono anche altri segnali riconducibili a quello che attualmente viene identificato come “Ignoto 1”, persona di cui non si conosce ancora l’identità che potrebbe aver aiutato Nicola a compiere l’efferato gesto. Ci sono voluti anni e anni di ricerche, in cui non sono mancati depistaggi, false testimonianze, archiviazioni e colpi di scena e adesso, per papà Nino è difficile reggere ancora la trafila legata ai ritmi del Tribunale, con tutto quello che a ciò è connesso. Nella scorsa estate è iniziato il processo di Appello e i legali di Mancuso hanno chiesto un riesame delle prove, perizie della scientifica e nuove testimonianze. Nonostante il rigetto di molte delle richieste, hanno volute però sentire nuovamente i Ris di Messina, che hanno fornito un contributo determinante per arrivare alla sentenza in primo grado. La piega che hanno preso gli eventi non farebbe presupporre ribaltamenti di fronte né sorprese. Rimane però il dubbio sulla seconda persona che avrebbe affiancato Mancuso nel macabro gesto. Di Ignoto 1 non si sa ancora nulla e la Procura pochi mesi fa aveva chiesto l’archiviazione delle indagini su questa inquietante presenza ma la famiglia di Valentina si è opposta, ottenendo una proroga delle indagini. Nino Salamone ritiene che la condanna all’ergastolo possa essere confermata, con l’accusa iniziale di omicidio con le aggravanti degli abietti e futili motivi. Alle prove schiaccianti si è aggiunto un altro elemento: la testimonianza del compagno di cella a cui Mancuso avrebbe confessato di avere ucciso la giovane per non turbare la propria pace familiare. Sconcertante, all’inizio, il comportamento di sua moglie Piera che ha sempre difeso il marito, sostenendo che fosse la ragazza a infastidirlo. Ora però qualcosa è cambiato. All’ultima udienza del processo la donna non era presente. Chissà, forse un ripensamento, una riflessione sul tradimento e sull’orrenda conseguenza di questa relazione sbagliata, per cui una giovane donna è morta e un’altra giovane mamma è rimasta sola, con tre figli.