Le condizioni stabilite nella sentenza di separazione o di divorzio – di tipo economico o relative al regime di affidamento dei figli – possono essere, in ogni momento e per giustificati motivi, revocate o modificate dal Tribunale su istanza di uno o entrambi i coniugi.
È possibile, quindi, incardinare un giudizio di revisione, sul presupposto che siano sopraggiunti elementi nuovi, di rilevanza tale, da incidere in maniera determinante sugli equilibri cristallizzati in sede di separazione o divorzio.
Ciò è quanto ribadito, da ultimo, anche dai giudici della Corte di Cassazione, che con la recente ordinanza n. 22269/2020, hanno chiarito che non è sufficiente un qualsiasi mutamento delle condizioni, ma occorre che esso abbia portato come conseguenza uno squilibrio considerevole nei rapporti dei coniugi tra loro o nei confronti dei figli. In sede di revisione, infatti, il Giudice non può procedere ad una nuova valutazione dei presupposti o dell’entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di separazione o divorzio, bensì, nel rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e dimostrate dalle parti, abbiano alterato l’equilibrio in tal modo raggiunto e adeguare l’importo, o lo stesso obbligo della contribuzione, alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertate.
Generalmente, sono ritenute rilevanti: le sopraggiunte necessità economiche del coniuge titolare dell’assegno di mantenimento, o viceversa, il miglioramento della sua condizione economica, la sopravvenuta titolarità di beni a seguito di speculazioni finanziarie, donazioni o eredità; ma anche la perdita dell’uso della casa familiare, la nuova stabile convivenza con un altro partner, la nascita di altri figli, le malattie e tutti quegli eventi imprevedibili e ingovernabili come la recente crisi sanitaria.
Ciononostante però – al fine della revisione dell’assegno di mantenimento – non è sufficiente prospettare i suddetti elementi di fatto, ma occorre necessariamente, a corredo delle proprie ragioni, assolvere il relativo onere probatorio e provare la contrazione dei propri redditi con opportuna documentazione fiscale.
Questa regola processuale, teoricamente corretta, non tiene però conto che nella pratica, soprattutto per i lavoratori non dipendenti, come autonomi e professionisti, la prova della riduzione del reddito si può fornire solo a distanza di molto tempo dal verificarsi della perdita; un libero professionista che ha avuto un calo di fatturato nel primo semestre del 2020, dove aspettare il luglio 2021 (quando è disponibile la sua dichiarazione dei redditi) prima di rivolgersi al giudice.
Con l’emergenza sanitaria, soprattutto per i lavoratori autonomi e i professionisti, questi oneri probatori sono divenuti meno stringenti – del resto coloro i quali hanno perso le loro entrate in tutto o in parte nel corso della pandemia, non possono attendere troppo tempo per essere autorizzati a versare in misura minore l’assegno di mantenimento in favore di figlio – avendo bisogno di un intervento immediato.
Di questa particolare esigenza, sembra aver tenuto conto il giudice della I sezione del Tribunale di Terni, che, con la sentenza del 16 luglio 2020, ha segnato l’inizio di un nuovo orientamento giurisprudenziale di maggiore sensibilità alle problematiche economiche post pandemia di alcuni lavoratori.
Nel caso de quo, il giudizio di revisione, era stato incardinato da una madre che aveva chiesto l’aumento dell’onere posto a carico del padre per il mantenimento dei due figli e per le spese straordinarie, in ragione dei maggiori costi – dalla stessa asseritamente sostenuti – derivanti dalla necessità di essere coadiuvata, nell’accompagnamento a scuola dei figli, a causa della mancata collaborazione paterna.
Il padre, al contrario, aveva chiesto la riduzione del suddetto assegno perché, di fatto, già gravato dal pagamento: delle rate di mutuo della casa familiare, rimasta in comproprietà tra le parti, e del canone di locazione dell’abitazione nella quale si era trasferito dopo la separazione.
Oltre a ciò, il signore aveva riferito anche di problemi di salute che lo avevano allontanato dal lavoro per il periodo in cui si era dovuto sottoporre a un’operazione e per le settimane successive di convalescenza.
Fanno da cornice, a queste già rilevanti circostanze personali, anche i problemi economici scaturiti dall’emergenza sanitaria: il padre, infatti, libero professionista consulente di piccole e grandi aziende, aveva subito una contrazione dei redditi (non precisamente quantificata) per l’interruzione dell’attività lavorativa (pari ai tempi previsti dalle disposizioni governative), protrattasi anche dopo il lockdown, a causa della totale o parziale inattività delle aziende clienti, alcune delle quali costrette a bloccare il ciclo produttivo o a ridimensionarlo considerevolmente.
Al contrario, la madre, dipendente pubblica, aveva mostrato una solida situazione reddituale non scalfita o alterata minimamente dall’emergenza sanitaria in atto né da circostanze di altra natura.
In ragione di ciò, il giudice, pur in mancanza della documentazione fiscale attestante la contrazione economica subita dal professionista, ha ritenuto presuntivamente provata tale circostanza e, per l’effetto, ha previsto una riduzione dell’onere posto a carico del padre per il mantenimento dei figli con decorrenza immediata già dal mese di luglio 2020, salva eventuale rideterminazione dell’assegno – anche con effetto retroattivo, nel corso del giudizio – qualora all’esito del deposito di documentazione reddituale emerga l’invarianza dei redditi percepiti o si accerti la ripresa dei pregressi livelli reddituali.