Bisognerà attendere la fine di febbraio per conoscere le motivazioni della sentenza con cui Pietro Genovese, il 21enne accusato di omicidio stradale plurimo per l’incidente avvenuto nella notte tra il 21 e il 22 del dicembre 2019 a corso Francia a Roma, è stato condannato a 8 anni. Per il tragico incidente, costato la vita alle due studentesse sedicenni Gaia von Freymann e Camilla Romagnoli, entrambe le famiglie riceveranno 180 mila euro ciascuno di risarcimento. La sentenza, emessa dal gup Gaspare Sturzo, ha escluso il concorso di colpa, strada tentata dalla difesa dell’imputato per il quale Il pm Roberto Felici, il 19 dicembre, nell’udienza svoltasi nell’aula bunker di Rebibbia aveva chiesto una condanna a 5 anni. La vicenda risale a un anno fa. Era da poco passata la mezzanotte del 21 dicembre 2019, le due sedicenni stavano attraversando la strada sotto una pioggia battente, quando in pochi attimi, il Suv guidato dal 21enne Pietro Genovese, figlio del noto regista Paolo, è comparso nella notte a una velocità di 90 chilometri e le ha investite. Le ragazze sono morte sul colpo mentre l’investitore si è fermato dopo lo schianto e ha atteso l’arrivo dei soccorsi. Genovese tornava da una cena, si era messo alla guida e risultava con tasso alcolemico di 1.4, tre volte superiore al limite consentito. Ad aggravare la posizione del 21enne anche una relazione tecnica della polizia postale in cui si legge che il ragazzo era al telefono al momento dell’impatto con le sedicenni. Il 13 luglio 2020 è iniziato il processo, con le conseguenti richieste della Procura e adesso si attende la sentenza a fine febbraio prossimo per capire le motivazioni per cui il gup Gaspare Sturzo avrebbe eliminato il concorso di colpa, costituito dalla ipotesi che le ragazze avessero attraversato fuori dalle strisce pedonali. Non si sa se gli avvocati Franco Coppi e Gianluca Tognozzi ricorreranno in appello in una situazione così complessa, se le motivazioni offriranno qualche appiglio è sicuro che i principi del foro si attiveranno. Le famiglie delle due vittime sembrano aver condiviso la pena comminata mentre per Pietro Genovese gli otto anni inflitti sono stati accolti come un vero colpo, tanto che il giovane è uscito a testa bassa dall’aula e ha chiarito: “Alla mia disperazione per la morte delle ragazze si aggiunge altra disperazione, non mi aspettavo una condanna cosi severa”. Sicuramente il giovane confidava nella richiesta dei 5 anni di pena avanzata dal pm Roberto Felici. Per il 21enne sono valide le considerazioni rese di fronte al giudice lo scorso settembre quando, durante la sua deposizione aveva sostenuto di non aver visto le ragazze. “Ricordo di essere partito col semaforo verde – ha dichiarato – non volevo uccidere nessuno e non avevo alcuna intenzione di fuggire”. Aveva concluso sostenendo quanto ormai la sua vita fosse distrutta, parole che dopo l’udienza del 28 settembre avevano sollevato critiche da parte della mamma di Camilla Romagnoli, che si era dichiarata profondamente delusa da quanto riferito in aula da Pietro Genovese. “Sembrava che stesse recitando a memoria un copione già scritto – ha affermato la donna – era indifferente a quello che è successo, non si è neppure girato una volta verso di noi che gli stavamo dietro. Avrebbe potuto chiedere perdono e non lo ha fatto”. Ieri, dopo la notizia della sentenza, la mamma di Camilla ha pronunciato parole più accomodanti: “la condanna di un ragazzo – ha sostenuto – anche se ha tolto la vita a mia figlia, non riesce a farmi piacere”. La tesi difensiva di Genovese, che si è avvalso del rito abbreviato, si affidava al concorso di colpa delle vittime, che non avrebbero utilizzato le strisce pedonali e sarebbero passate con il semaforo rosso. Una ricostruzione che, con tutta evidenza il giudice non ha accolto. Diverso il parere degli avvocati Franco Coppi e Gianluca Tognozzi, difensori di Pietro Genovese, che fuori dall’aula bunker di Rebibbia hanno così commentato: “A quanto pare la sentenza non rispecchia quello che è emerso dagli atti, soprattutto rispetto al rosso pedonale. Comunque tutte le sentenze si rispettano e le motivazioni ci daranno conto del ragionamento del giudice”.