Quanto accaduto in America ad opera del medico della nazionale di ginnastica artistica Nassar – che in trent’anni ha molestato circa cinquecento bambine – è un caso isolato?
No. Le molestie sono una realtà sottaciuta dello sport, non di tutto lo sport ma di una parte importante, di cui purtroppo facciamo parte anche noi italiani, ma non ne siamo consapevoli.
Questo è quanto emerge dalla puntuale ricostruzione di fatti di cronaca e di vicende giudiziarie, del libro denuncia: “Impunità di gregge” di Daniela Simonetti, giornalista dell’Ansa, Presidente e fondatrice de Il Cavallo rosa/ChangeTheGame, prima associazione italiana contro gli abusi sessuali nello sport. https://www.changethegame.it/
In Italia i casi censiti nell’ultima relazione della Procura generale del Coni dal 2014 al 2019 sono una novantina e coinvolgono le varie discipline sportive: sul podio troneggia il calcio (21 casi), seguito dall’equitazione (16) e dal volley (13). Il fenomeno – drammaticamente sottostimato – corre veloce per strade oscure e spesso invisibili dell’infanzia e dell’adolescenza violate. A rompere il muro di omertà, purtroppo, sono ancora in pochi e i numeri che emergono destano preoccupazione.
I processi celebrati dalla magistratura ordinaria, a carico di tecnici tesserati che si rendono protagonisti di abusi sessuali a danno di minori e che ciò nonostante, continuano a esercitare la loro attività, si aggirano tra i 20 e i 40 casi all’anno: sport e giustizia sembrano essere due mondi paralleli destinati a non incontrarsi mai.
Certo, ci sono anche esempi virtuosi come la Fasi (Federazione arrampicata sportiva italiana) che, nel proprio regolamento, ha introdotto l’illecito di violenza sessuale e abusi sui minori da cui consegue la sanzione della radiazione.
Il Consorzio Vero Volley ha previsto la figura del doppio coach, avviando corsi di formazione sul tema delle molestie, predisponendo un decalogo con i comportamenti da tenere nei riguardi dei minori firmato dagli allenatori, i quali hanno l’obbligo di produrre certificati penali dei carichi pendenti.
La Federazione italiana baseball acquisisce tali certificati al momento di assumere coach e li verifica con cadenza semestrale.
Infine, nel mondo del calcio, l’Inter dal 1° dicembre 2018 ha lanciato il primo progetto antipedofilia e richiede i certificati ai tecnici delle giovanili.
Ma tutto questo è ancora poco, sia in termini di misure predisposte dalle federazioni sportive che di conoscenza di questo allarmante fenomeno, come evidenziato da Marco Travaglio che ha curato la prefazione del libro: “in America le inchieste di un piccolo giornale come l’Indianapolis Star hanno permesso di incastrare Larry Nassar, medico della Nazionale di ginnastica artistica che per trent’anni aveva molestato almeno 500 atlete senza che nessuno muovesse un dito per fermarlo. E una grande e storica testata come il New York Times pubblica reportage imponenti sul lato oscuro dello sport. In Inghilterra il Guardian racconta e denuncia gli abusi sessuali nello sport con cadenza quasi quotidiana. In Italia le notizie del genere escono col contagocce. ”
È arrivato il momento, ammonisce l’autrice, che il Coni e le Federazioni sportive adottino delle misure più stringenti al fine di arginare e prevenire il fenomeno.
Il quadro normativo di riferimento è l’art. 2 D.Lgs. 39/14 di attuazione della Direttiva 2011/93/UE sulla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori. Ad oggi, per il Coni tutti i soggetti che prestano la propria opera presso le società e associazioni sportive dilettantistiche (istruttori e tecnici compresi) con i quali non si sia configurato un rapporto di lavoro autonomo o subordinato (compresi i volontari e coloro che percepiscono i compensi di cui all’art. 67, c. 1, lett. m del TUIR, cosiddetti collaboratori sportivi ex lege Pescante) non hanno l’obbligo di presentare la certificazione del casellario giudiziale.
Questa interpretazione però non sarebbe conforme al dettato normativo che, al contrario, imporrebbe l’obbligo di richiesta di tale certificato a tutte quelle forme di collaborazione “strutturata”, comprese le attività continuative, anche da lavoro autonomo, quali quelle di istruttori, tecnici, allenatori e simili a prescindere dalla forma contrattuale prescelta.
E in ogni caso, è sempre possibile per il datore di lavoro all’atto dell’assunzione, richiedere oltre alla abituale documentazione anche il certificato penale e dei carichi pendenti.
Ma ciò non accade quasi mai. Perchè?
Del resto, la ratio della direttiva comunitaria recepita nel D.Lgs. 39/14 è proprio questa: le verifiche preliminari sugli educatori derivano dalla natura particolare dell’incarico fiduciario che andranno ad assumere e dallo stretto contatto che avranno con i minori.
Chiediamo all’autrice:
Dal libro emerge che il codice della giustizia sportiva del CONI e i regolamenti di giustizia federali sono stati elaborati quando ancora mancavano sensibilità e attenzione verso i temi della violenza sessuale. Per questo siamo così indietro nella tutela dei diritti degli atleti?
Sì, è così. La situazione è molto grave e questo libro inchiesta vuole far luce sui molti aspetti dello sport rimasti per troppo tempo nell’ombra. L’apparato normativo va assolutamente aggiornato. Certo, c’è molto da fare, ma qualcosa sta cominciando a muoversi. Vi sono, infatti, iniziative promosse da alcune istituzioni sportive che lasciano ben sperare. La FIFA, ad esempio, sta creando un organismo internazionale contro gli abusi sui minori e categorie vulnerabili nello sport. Siamo solo in una fase istruttoria, ma da dicembre 2020 anche l’associazione Il Cavallo rosa/ChangeTheGame fa parte di questo progetto. Per noi è molto importante esserci.
Quali sono gli obiettivi che persegue l’associazione di cui sei Presidente e fondatrice?
Stiamo lavorando su più fronti: oltre al progetto di studio sulle modifiche legislative, statutarie e regolamentari per rendere obbligatoria la presentazione del certificato penale e dei carichi pendenti, auspichiamo l’introduzione nei regolamenti di giustizia sportiva dell’illecito disciplinare di violenza sessuale e abusi su minore con la previsione della sanzione della radiazione. Oltre a questo formiamo e informiamo i tecnici, coach, atleti e organizzazioni sportive al rispetto delle buone pratiche e forniamo strumenti di aiuto legale per le famiglie. In ultimo, l’attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica ci vede, da sempre, impegnati in prima linea perché crediamo che solo una maggiore consapevolezza può portare a un ambiente sportivo sano, felice e protetto per l’infanzia, l’adolescenza e per ogni atleta di qualsiasi età.