L’avvocato Priolo, sociologo, economista e giornalista professionista, autore di alcune pubblicazioni ed articoli sul fenomeno dei femminicidi, ci espone le sue teorie.
“Città di Marino, ancora il fenomeno del c.d. “femminicidio” dilania le comunità delle città italiane piccole e grandi con un rituale ormai consolidato. L’omicida non fugge: o si uccide o si consegna alle forze dell’ordine, come si liberasse da un male insopportabile.
Antonio Boccia, carabiniere di 57 anni operativo presso la direzione servizio antidroga di via Anagnina, spara tre colpi di pistola alla moglie o compagna, Anna Maria A., insegnante di 50 anni, dirigente di una scuola elementare a Frattocchie, Marino. L’uomo poi si è tolto la vita con la stessa arma. La donna ferita gravemente è stata soccorsa e trasportata d’urgenza in eliambulanza al pronto soccorso dell’ospedale San Camillo di Roma. Appare che le sue condizioni siano molto gravi, non si hanno notizie se sia in pericolo di vita.
Avvocato Priolo lei studia il fenomeno del “femminicidio” da tempo con pubblicazioni ed inchieste giornalistiche, qual è la causa di questa incessante strage di innocenti?
Esiste una spiegazione a mio avviso incompleta con il difetto di essere ripetitiva e semplificata per le esigenze della notizia giornalistica che ha le sue regole. La gelosia arma la mano dell’assassino. La gelosia genera il deserto emozionale, sostituisce alla varietà dei sentimenti la solitudine dell’odio. Esiste un perimetro ideale di divieto di accesso presidiato dalla forza della gelosia all’interno del quale nulla è consentito se non viene autorizzato dal monarca, un’area di dominio psicologico mimetizzato dall’amore, dal rispetto per la donna appartenente alla proprietà del suo uomo, un finto agire per il bene dell’altro. Guardare con interesse la fidanzata dell’amico viola il vincolo di amicizia, vulnera la fiducia accordata. Non solo quelli della vecchia generazione, ma i giovani di 18 anni, cresciuti nell’era del web, reiterano l’infrangibile rituale degli effetti della gelosia dei tempi passati. Sembra che «I morti sul lavoro siano inferiori alle donne uccise o mutilate o vilmente maltrattate dai mariti, dai compagni, dai fidanzati”. Il piacere dell’odio distrugge la possibilità di comunicazione, crea una emozione dominante, minacciata dalla fantasia della propria distruzione. Ho personalmente affrontato alcune indagini socioantropologiche che con strumenti di analisi etnologiche ed etologiche hanno consentito di sostenere che l’origine della esplosione repressiva verso la femmina scelta come moglie e/o compagna spinga a ricercare la risposta omicida per offesa alla virilità del maschio, simbolo universale esaltato in assenza di risconti filogenetici ed ontogenetici e, come insegnano gli attuali virologi, la scienza non consegna certezze ed evolve per tentativi ed errori.
Avvocato Priolo l’invito a denunciare subito le prime manifestazioni di violenza e rivolgersi ai centri contro la violenza di genere può essere la risposta almeno alla riduzione del danno?
Come afferma il sociologo Max Weber: ”le generalizzazioni sono un vittoria precaria sulla infinità del dato empirico” per cui occorre distinguere tra le associazioni che dichiarano di essere un presidio sul territorio per un primo supporto alle vittime di violenza. Mentre non è possibile tacere sulla gravissima disattenzione, sottovalutazione, imperizia, negligenza di magistrati, in particolare pubblici ministeri, che chiamati a svolgere indagini a seguito di segnalazioni, denunce, querele di donne violentate, percosse, perseguitate, oppresse, torturate (fisicamente e psicologicamente) svolgono il loro compito con superficialità, imprecisione, sciatteria.
Non si può dire? Io lo dico, forte e chiaro, e pongo questa domanda: se dopo varie denunce e querele rimaste senza esito, una madre di famiglia viene uccisa con 24 coltellate, quale sanzione irroghiamo al magistrato negligente e imprevidente che non ha indagato, che ha sottovalutato, che ha rimandato il suo compito? Nessuna. Rien de rien. E allora io dico che quel magistrato dovrebbe avere la coscienza morale di licenziarsi, di dimettersi dagli incarichi di inquirente o di giudicante e di riciclarsi. Bravi quei magistrati che scoprono l’evasore e lo puniscono, ma non possiamo non appellare come “inadeguati” quei magistrati che non hanno effettuato la dovuta prevenzione verso un concreto pericolo di morte.
I magistrati ed il 55% sono donne che sono colpevoli della morte di donne e bambini non hanno frodato la legge, disatteso il loro dovere, si sono dolosamente adeguati all’andazzo dell’irresponsabilità condonata, coperti dalla loro posizione formale. Un’appropriazione indebita di impunità formale. È pensabile essere nelle fasi preliminari di un procedimento penale, il deus ex machina delle indagini, e restare fuori da ogni responsabilità quando la morte grida tutta la sua disapprovazione verso coloro che dovevano prevenire, impedire, controllare e verificare? I magistrati per primi non possono sfuggire alla giustizia. Omicidi per omissione questo il reato di cui si sono macchiati pubblici ministeri che avevano il compito di proteggere donne e bambini. Carenze, gravi sottovalutazioni, inutili formalismi e penose procedure non possono giustificare il sangue versato. I pericoli che corrono donne perseguitate o violentate da mariti, compagni, fidanzati, ex mariti, ex compagni, ex fidanzati sono documentati dagli efferati decessi, dalle feroci mutilazioni”.
Di Giada Giunti