AGI – Quando si naviga sul Web, un numero sempre maggiore di siti e app richiede un’informazione di base che probabilmente viene fornita da ciascuno senza troppa esitazione: il proprio indirizzo email. Attenzione, sembra un gesto innocuo, invece “quando si inserisce la propria email, si condividi molto di più di un semplice indirizzo”, avvisa il New York Times.
Perché le aziende vogliono gli indirizzi email degli utenti? Per inserzionisti, editori web e produttori di app, conoscere la email è importante non solo per contattare il navigatore in rete, ma perché è un espediente utile alle aziende per collegare la personale attività sul web con siti e app in grado poi di offrire annunci pubblicitari e consigli conseguenti e pertinenti a ciò che si sta ricercando.
Analizza il Times: “Per decenni, l’industria della pubblicità digitale si è affidata a tracciatori invisibili installati all’interno di siti web e app per seguire le nostre attività e quindi fornirci annunci mirati”, ma negli ultimi anni sono state apportate modifiche radicali a questo sistema, tra cui il rilascio da parte di Apple di una funzionalità software nel 2021 che consente agli utenti di iPhone di impedire alle app di tracciarli e la decisione di Google di impedire ai siti web di utilizzare i cookie, che seguono e indagano le attività delle persone attraverso i siti, nel suo browser Chrome entro il 2024.
Tuttavia, la tecnologia pubblicitaria è in continua evoluzione, quindi può stabilire esattamente cosa si sta condividendo quando si inserisce un indirizzo email. A tal proposito, “una tecnologia che sta guadagnando terreno è un framework pubblicitario chiamato Unified ID 2.0, o Uid 2.0, sviluppato da Trade Desk, una società di tecnologia pubblicitaria di Ventura, in California”, scrive il Times, in base al quale Uid 2.0 “trasforma la email in un token composto da una stringa di cifre e caratteri” per cui “gli inserzionisti possono collegare i due account insieme in base al token e possono indirizzare così annunci di mirati sull’app di streaming” sul genere di prodotto visitato o a cui si è interessati.
Ma poiché l’indirizzo email non viene rivelato all’inserzionista, “Uid 2.0 può essere visto come un passo avanti per i consumatori rispetto al tradizionale tracciamento basato sui cookie, che offre agli inserzionisti l’accesso alla cronologia di navigazione dettagliata e alle informazioni personali”.
Il punto è che “siti e app richiedono sempre più spesso l’autenticazione delle email, in parte perché gli editori devono disporre di un modo efficace per monetizzare i propri contenuti più incentrato sulla privacy rispetto ai cookie”, spiega Ian Colley, chief marketing officer di Trade Desk, anche perché “dopotutto internet non è gratis”, precisa.
Come difendersi allora? Il Times consiglia che ogni volta che un sito o un’app richiede la email di “creare un indirizzo univoco per accedere, come, ad esempio, netflixbrianchen@gmail.com”, ciò che renderebbe difficile per le aziende di tecnologia pubblicitaria compilare un profilo basato sull’indirizzo email.
Oppure usare degli strumenti di mascheramento delle email o, in ultima analisi, “quando è possibile rinunciare” del tutto: “Per i siti che utilizzano il framework Uid 2.0 per profilare gli annunci, lo si può disattivare inserendo l’indirizzo email su https://transparentadvertising.org, anche se “non tutti i siti che raccolgono l’indirizzo email utilizzano Uid 2.0.
Ultima chance? Non fare nulla. Ricevere la pubblicità e basta.
Francesca Ruggiero