Fonte: Corriere della Città
Che sia a Roma o a Milano, tanto per citare due grandi città, cambiano i luoghi, le stazioni della metro, ma il modus operandi resta lo stesso: puntano le vittime di turno, si avvicinano, poi con una scusa e con destrezza le derubano.sono un incubo per pendolari e turisti: c’è chi ormai si è abituato a quelle ‘presenze’ e sa come difendersi: Lo zaino o la borsa ben in vista e occhi aperti, ma c’è chi, nonostante questo, è caduto nella trappola e si è ritrovato senza telefono e portafogli. Perché loro, che di mestiere rubano, sono veloci e scaltre: sanno cosa fare e come farlo. Incuranti degli inviti alla cautela da parte degli stessi passeggeri o delle forze dell’ordine. Loro non si fermano davanti a nulla. Neppure davanti agli annunci e ai messaggi stampati, quelli che è facile trovare nei vari punti di stazioni e mezzi di trasporto.
La storia
Ana, una ragazza bosniaca di 29 anni, che ha deciso di raccontarsi sulle pagine del Corriere della Sera. E’ una borseggiatrice di “professione”, pendolare tra roma e Milano Lei, è una di quelle donne ritratte nei video, poi diventati virali sulla pagina Instagram ‘Milano Bella da Dio’. Una di quelle ‘riprese’ mentre ruba nella stazione metro. “Guadagno fino a 1.000 euro al giorno con i furti, ma ho i sensi di colpa” – ha spiegato la donna, che ha ben 9 figli in Bosnia. “Di loro se ne occupa mio marito, che non lavora.
Sono io che mantengo io la mia famiglia. È capitato che un giorno abbia messo in tasca 1.000 euro, ma è un’eccezione. Anche 500 sono tanti, visto che la gente gira con poco contante”.
Ana ha detto di ‘lavorare’ ogni giorno, dalla mattina alla sera: si sveglia, si prepara e inizia già a pensare al prossimo colpo e al prossimo pendolare o turista da derubare. “Quando finisco vado a casa, zona Niguarda, nell’appartamento comprato dai miei genitori. Lo condivido con amiche e parenti: le mie colleghe di scippi, io però preferisco muovermi da sola o al massimo in coppia, tra Duomo e Centrale, per non dare nell’occhio. Guardi che affollamento, quante persone: ne studio i volti, le movenze, infine battezzo la vittima” – ha detto, come se fosse tutto così normale.
La 29enne sa bene, infatti, come agire: si posiziona lì dove i passeggeri comprano i biglietti, così capisce dove mettono i portafogli. Se nella tasca, nella borsa, nello zaino. “Quando decido di entrare in azione scelgo i soggetti più vulnerabili, di solito le donne. Mi sfilo il giubbotto e me lo porto al braccio, nascondendo la mano con cui frugherò nella borsa. Se pesco uno smartphone va bene uguale” – ha detto.
“Avevo 13 anni, lavoravo nella metropolitana di Roma” – ha raccontato Ana. È stata la zia, borseggiatrice anche lei, a spiegarle come fare per vivere. E oggi la 29enne è sì a Milano, ma anche nella Capitale: “Mi divido tra Milano e Roma, dove abbiamo un altro tetto. Mi sposto in treno, non ho patente e vita sociale”. C’è chi ha più studi, per esempio medici, in diverse città d’Italia. E chi fa la pendolare sì, ma per derubare le vittime. Proprio come la 29enne, che a differenza della sorella che ha scelto di cambiare vita e ribellarsi, non riesce a trovare altro: “Adesso dove vado? Ho nove figli. Non so fare niente, sono semianalfabeta. L’unica cosa che mi riesce è rubare. Ma a volte ho i sensi di colpa”. Nonostante questo, però, senza pensare che dietro uno smartphone e un portafogli ci siano persone che abbiano faticato e fatto sacrifici nella vita. Lei non teme nulla, neppure il carcere. “Prima ci finivo, anche più volte al giorno, ma venivo sempre rilasciata perché incinta o madre di un bimbo piccolo” – ha spiegato Ana.
Ci si chiede possiamo definire civile un paese con un tale sistema giudiziario?
Gaetana di Lorenzo