Da giocatore era “il fratello di Pippo”, da tecnico vince il suo primo Scudetto da campione di normalità
ROMA – L’altro Inzaghi era una dannazione. Almeno fino alla finale di Champions dell’anno scorso, quella porta girevole che infilò assieme a Pep Guardiola, Simone Inzaghi era il fratello di Pippo. Da attaccante, da allenatore, per gli striscioni dei tifosi e per i meme dei social. Arrivato a 300 panchine di Serie A più spiccioli, e un primo scudetto in tasca, l’altro Inzaghi è una definizione deformata: Simone Inzaghi, e solo poi Pippo. La carriera al rovescio dell’uomo qualunque è la vera parabola dell’Inter che trionfa in campionato dopo due anni di sala d’aspetto: prima il Milan, poi il Napoli, ora è il suo turno.
Inzaghi è risorto dalle sue stesse ceneri la scorsa primavera, quando il Napoli volava in fuga, l’Inter annaspava e lui si dimenava come un capitone condannato alla frittura della vigilia Natale. Erano i tempi di “via Inzaghi”, residenza sofferta del tecnico prima che l’Europa lo riabilitasse. Era ad un passo dall’esonero. Ora corre a San Siro, con lo scudetto aritmetico incassato nel derby: per l’iconografia milanese, un passo più su c’è solo Sant’Ambrogio.
A 47 anni conserva la postura da impiegato del pallone, strappato alla Lazio per tranquillizzare le macerie isteriche (e vincenti) di Antonio Conte. Ha riparametrato Appiano Gentile con la misura del professionista chiamato d’urgenza: alla Lazio sostituì al volo Marcelo Bielsa sfruttando la semina di Pioli; all’Inter subentrò al diniego di Allegri. Ha ballato coi più grandi, con Klopp, con Guardiola, accettando un destino morettiano: mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Lascia le corde vocali in campo – le sue interviste afone post-partita sono un classico dei tormentoni – per recitare il copione della retorica formale alle tv.
Inzaghi si adatta. Era “antico” lo scorso anno, mentre Spalletti dominava la Serie A. E’ modernissimo adesso che domina anche la classifica del bel gioco. E’ un allenatore non binario, cui accostare una definizione è complicato. Di lotta e di governo, s’usava dire un tempo. Ha governato la lotta e ha dato forma all’Inter senza pretendere identificazioni d’immagine o somiglianza. Ha allenato per sottrazione. Un anno solare dopo le minacce d’esonero ha ristabilito le gerarchie, anche quella familiare. Chi è l’altro Inzaghi adesso?