In Cina, sta avvenendo, nel silenzio dei media occidentali, un fenomeno culturale, molto interessante, che potrebbe avere risvolti positivi sulla nostra economia. Agli inizi di maggio, infatti, Han Feng, professore dell’università Tongji, di Shangai, ha dichiarato che il turismo interno cinese, basato sulle visite ai parchi a tema stile Disneyland, nei quali fanno sfoggio di sè, le riproduzioni, più o meno fedeli, delle principali attrattive turistiche mondiali, rappresenta: “una prova di debole coscienza culturale”. Tale dichiarazione ufficiale, per chi conosce il mondo cinese, non può non essere stata avallata dal Governo di quel Paese, ed infatti, è stata seguita dall’intenzione delle istituzioni competenti, di demolire totalmente, tali parchi tematici, tra i quali troviamo la Venezia, ricostruita a Dalian, nella Provincia del Liaoning, alla quale si riferisce la foto copertina di questo articolo. Apparentemente questa decisione sembra non avere alcun risvolto economico esterno, ma se analizziamo le parole utilizzate dal professor Han Feng, e consideriamo che in Cina, per tradizione, le parole vengono soppesate attentamente, prima di venir pronunciate, capiamo di trovarci di fronte ad un vero e proprio cambio di paradigma. Definire, infatti, l’industria turistica interna basata sulle copie: “una prova di debole coscienza culturale” significa, in pratica, sconfessare ufficialmente l’abitudine cinese, ormai quarantennale, di produrre oggetti “falsi” e repliche, più o meno di qualità, di molteplici prodotti occidentali, per provare ad imporre una nuova cultura, che valorizzi le proprie specificità culturali. Si tratta di un processo che non nasce certamente agli inizi di questo mese, ma è già in fase avanzata, come dimostra, ad esempio la sentenza della Suprema Corte del Popolo della Repubblica Popolare Cinese, che nel dicembre 2016, ha definitivamente stabilito che i diritti del nome di Michael Jordan, anche se scritti in caratteri cinesi, sono di titolarità dell’ex giocatore di basket statunitense, e non possono essere usati liberamente nel territorio cinese.
La causa, iniziata nel 2012, era stata intentata da Michael Jordan contro la Quiaodan Sports, azienda di abbigliamento sportivo con sede nella provincia del Fujian, che aveva creato circa un centinaio di marchi diversi, utilizzando il nome di Jordan, il suo storico numero da giocatore (23), ed un logo simile a quello della Air Jordan, sia in caratteri cinesi che latini, per sfruttare a fini economici, l’enorme popolarità dell’atleta statunitense, tanto da assumerne anche il nome cinese. Sin dagli anni ’80, infatti, da quando l’NBA ha iniziato ad essere molto popolare anche in Cina, ci si riferisce a Jordan chiamandolo Quiaodan, che, appunto, è, anche il nome della società cinese che commercializzava tali prodotti, e che giocando proprio su questo aspetto, era riuscita ad ottenere una sentenza del Tribunale di Shanghai, che aveva stabilito che l’uso del termine Quiaodan, era troppo comune per poter essere registrato ed usato unicamente da Michael Jordan. Tale sentenza è stata come detto ribaltata dalla Suprema Corte, che ha, invece riconosciuti i diritti del famoso atleta, riguardo l’utilizzo del proprio nome a fini commerciali. A questa sentenza favorevole ai diritti dei soggetti esteri, se ne sono aggiunte altre, e nel 2018, si è arrivati ad una storica riforma sulla materia, con la quale è stata creata un’unica autorità per la gestione di brevetti, marchi e proprietà intellettuali. Con tale riforma, infatti, la vecchia autorità competente per i soli brevetti (State Intellectual Property Office (SIPO), è stata trasformata nella nuova China National Intellectual Property Administration (CNIPA). Fino a qui, abbiamo descritto il lato giuridico della questione, adesso affrontiamo come detto le possibili novità che tale cambio di rotta del Governo cinese in materia di falsi e copie potrebbe portare, anche nel nostro Paese. Si tratta di considerazioni supportate dalla conoscenza della cultura cinese che ha dei meccanismi mentali diversi dai nostri, come ovvio. Se il Governo del Regno di Mezzo, come viene chiamata popolarmente la Cina, ha deciso, dapprima di tutelare i diritti d’autore dei soggetti esteri, e poi, oggi, di abbattere i templi culturali del falso, rappresentati dai parchi tematici, significa che lo stesso Governo, ha deciso di abbandonare anche il mercato della paccottiglia legata al mondo delle copie. Si tratta di un mercato florido in termini economici perchè i cosiddetti ricordini che occhieggiano in tutte le vetrine dei negozi di souvenir del mondo, e nelle case di molti di noi, come le calamite da frigorifero, che rappresentano un classico in tal senso, sono Made in China, e anche se costano poche decine di centesimi di euro l’uno, parliamo di miliardi di pezzi prodotti, quindi di miliardi di euro che entrano nella bilancia commerciale cinese, alla voce export. Ma evidentemente tale mercato, nelle idee del Governo cinese, deve essere sostituito con qualcosa di culturalmente più forte, tornando alle parole del professor Han Feng. Tradotto, significa che la Cina, intende investire in qualcosa di meno “debole” intendendo, con tale termine, la pochezza della qualità e del prezzo per unità prodotta, che caratterizzano i souvenir, puntando a produzioni di maggior valore intrinseco e commerciale. Di riflesso, se queste idee si concretizzassero nella realtà, ecco che si aprirebbero nuove prospettive di sviluppo per il nostro artigianato di qualità, con un ritorno al passato, quando, fino agli anni ’80, i souvenir costavano molto di più, di quanto non costino oggi, ma erano Made in Italy, e caratterizzati da un’elevata qualità artigianale, che sconfinava nell’arte, basti pensare alle Murrine, ed agli altri oggetti più svariati che venivano prodotti a mano, spesso singolarmente, e non in serie, nelle fonderie di Murano, o alle statue che riproducono il David di Michelangelo, oggi realizzate a macchina con materiali scadenti, che, invece, erano fatte a mano, in polvere di marmo, o ancora con le statuette romantiche di Giuseppe Armani, che si firmava G. Armani, per giocare con l’omonimia col più famoso Giorgio Armani, per restare in argomento “falsi”, ma che comunque, erano opere di fine porcellana e di altissima qualità artistica e realizzativa, frutto del genio e dell’inventiva tipici degli artigiani del nostro Paese. Naturalmente occorre che la nostra filiera produttiva artigiana si faccia trovare pronta a questa nuova sfida, ed ecco perchè siamo sorpresi dal silenzio degli analisti su questo tema. La speranza è che l’interesse degli organi d’informazione si accenda anche su tematiche diverse rispetto all’emergenza sanitaria ed a quella economica che sta seguendo la prima, perchè i problemi si risolvono prospettando possibili soluzioni non soffermandosi sui problemi stessi.
Luca Monti