Sa che rischia di vedersi sommerso dalle candidature? «Magari! Lo spero. Guardi che io di questi 60 autisti ho veramente bisogno. Contratto della logistica, tutto in regola: lo scriva. Nove ore al giorno per 5 giorni, tremila euro netti al mese».
Gerardo Napoli, 49 anni, parla al telefono dalla provincia di Salerno, dove ha sede l’azienda della logistica di cui è amministratore unico, la Napolitrans. L’allarme sollevato ieri dal Sole 24 Ore sulla mancanza dei autisti e camionisti non lo stupisce, anzi. «La mia azienda consegna alimentari alla grande distribuzione. Siamo arrivati a 80 milioni di fatturato ma potremmo fare di più: il nostro giro d’affari è limitato dalla mancanza di personale».
Come è possibile?
«Per fare il camionista ci vuole la patente E. Per prenderla servono seimila euro circa e sei mesi di studio. Non tutti hanno la costanza e i soldi».
Anita, l’associazione della logistica aderente a Confindustria, propone di favorire gli ingressi di extracomunitari con la patente.
«È sicuramente una strada. Ci sono tanti ucraini e kazaki pronti a fare questo mestiere. Dopo un anno di lavoro devono ottenere la Cqc, la carta di qualifica-zione del conducente».
Non sarà che gli extracomunitari vengono pagati meno? Magari attraverso escamotage come il distacco di manodopera?
«Qui li impieghiamo con il contratto italiano della logistica. Sul piano dei costi per noi non cambia niente».
Se a chi perde il lavoro, diciamo alla Whirlpool di Napoli per esempio, fosse data la possibilità di fare la patente E a un costo agevolato?
«Non possiamo farci carico noi del costo della patente. Si fa presto a fare i conti: 6 mila euro per 60 lavoratori equivarrebbero a 360 mila euro, un investimento troppo oneroso. Per di più con il rischio che presto il lavoratore si licenzi per passare a un concorrente. Ma se ci fosse un investimento pubblico per aiutare disoccupati in uscita da un’azienda in crisi a conseguire la patente, noi valuteremmo con attenzione le candidature. L’importante è che si tratti di persone con la giusta attitudine».
Qualcuno le chiama politiche attive del lavoro.