A fine anno il saldo commerciale è tornato in attivo. Aumentano gli occupati. Ma la presenza inquietante del fattore guerra-ucraina ha determinato l’aumento dei costi di produzione per le imprese. Quindi anche dei prezzi al consumo. Sono, questi, fattori che quantomeno rallentano la crescita. L’annuale e atteso rapporto Istat è stato presentato venerdì 7 luglio a Montecitorio. Una relazione fitta fitta di duecento pagine per cui non sono sufficienti gli abstract e le consapevoli semplificazioni dei relatori. Se la situazione è complessa ha bisogno di esser resa in tutta la sua complessità, non si capisce perché si chieda immediata perspicuità nei testi che la illustrano.
Il problema restano gli investimenti e la qualità del personale occupato, l’annoso problema della produttività che va di pari passo anche con la capacità dell’impresa di innovare, non solo nel cosiddetto “capitale umano”.
Ma se la risposta alla competitività si legge tutta nell’innovazione, il nostro paese è evidente che ha seri problemi.
Tutti sanno che nel primo trimestre dell’anno in corso la congiuntura positiva per il Pil è stata migliore ce in altri paesi europei. Ma a guardar bene, il traino di questo buon andamento lo si rileva per la crescita del settore dei servizi. Rallenta invece l’artigianato piccolo medio. Nell’anno precedente, invece, la crescita del Pil a +3,7 per cento, ha dato una buona performance, anche perché solo la Spagna ha fatto meglio di noi. Il prodotto interno lordo è cresciuto, sempre nel 2022, ma sono stati i consumi delle famiglie residenti e gli investimenti fissi lordi, ad aver dato questa spinta. Negativa la domanda estera netta.
Sempre nel 2022 è cresciuto del 2,4 per cento il numero di occupati. Una tendenza che va a confermare e migliorare quella del 2021 che era stata dello 0,7 per cento.
È anche vero però che nel 2020 c’era stato un crollo occupazionale.
Tornando ai dati dello scorso anno fa ben sperare l’aumento dell’occupazione giovanile, tanto che hanno trovato lavoro quasi 8 giovani su 10 nel Centro-Nord a fronte dei 5 circa nel Mezzogiorno.
Ma il problema più generale resta quello dell’invecchiamento del paese in relazione alla diminuzione delle nascite. IL rapporto Istat dice esplicitamente: “sul fronte demografico gli effetti dell’invecchiamento della popolazione si fanno sempre più evidenti: il consistente calo delle nascite registrato nel 2022 rispetto al 2019, circa 27 mila nascite in meno, è dovuto per l’80 per cento alla diminuzione delle donne tra 15 e 49 anni di età e per il restante 20 per cento al calo della fecondità. L’invecchiamento è destinato ad accentuarsi nei prossimi anni, con effetti negativi sul tasso di crescita del Pil pro capite”.
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