Semiotica felina. Sono duecentosettantasei le tipologie di espressioni registrate nei gatti. E ciascuna vuole dare un input specifico, comunicare qualcosa, entrare in relazione col suo mondo, anche se con dubbi risultati. A dirlo è uno studio di Behavioural Processes. La ricerca si basa su videoregistrazione per centonovantaquattro minuti.
Sono stati così osservati i comportamenti di cinquantatre gatti domestici a pelo corto adulti al CatCafé Lounge di Los Angeles, California. Sono stati utilizzati sistemi di codifica delle azioni facciali progettati per i gatti. È stata confrontata la complessità e la composizionalità dei segnali facciali prodotti in contesti affiliativi e non affiliativi. Misurare la complessità e la composizionalità dei movimenti è stato possibile da esaminare grazie al numero e i tipi di movimenti dei muscoli facciali osservati in ciascun segnale. Chiaro che l’addomesticamento abbia avuto un impatto significativo sullo sviluppo dei repertori di segnali facciali intraspecifici nei gatti.
Il lavoro paziente e analitico è stato quello di selezionare ogni atto e associarlo a un sentimento specifico del felino – anche se una forma dubitativa deve sempre restare. Chiaramente esclusi i movimenti adottati per il sostentamento dell’animale: mangiare, bere, respirare e sbadigliare.
La campionatura dei ben duecentosettantasei movimenti fa impressione perché supera di gran lunga quella di altri animali che si ritenevano maggiormente sociali. Un esempio sono gli scimpanzé (357), i cani (27), gli esseri umani (44).
I gatti quindi conoscerebbero una varietà di messaggi, o addirittura comandi da impartire, al mondo esterno precedentemente inimmaginabili. Si ritiene anche che questa attitudine sia accentuata per la convivenza con l’uomo. Tutto da stabilire però quanto di questa semiotica felina sia intuitivamente percepito dai rispettivi custodi del felino.