Lo vediamo scritto dappertutto, sulle foto di Instagram, sui lenzuoli appesi ai balconi, nelle parole di tanti. “Andrà tutto bene”. Ma chi ci garantisce tutto questo ottimismo? Nessuno. Cerchiamo conforto nelle statistiche, nella città di Wuhan che sembra essere uscita dall’incubo. Poi, però, ogni giorno facciamo i conti con i dati negativi e i contagiati in crescita (soprattutto nella zona rossa), con le parole poco rassicuranti dei capi di Stato, con la stupidità di chi fa spallucce davanti all’obbligo di quarantena, con il numero spaventoso delle vittime di questo Coronavirus.
Parliamo di contagi in tutta Italia, di pandemia globale, di paura generalizzata. Ma la verità allarmante è che la zona rossa, ossia Bergamo, Brescia e Milano, spaventa per la crescita esponenziale dei contagi. Numeri che, fortunatamente, non sono uguali in tutta Italia. Ma l’assurdità, la beffa clamorosa è stata paragonare la Lombardia al resto d’Italia: proprio perché i contagi erano già altissimi giorni fa non è ammissibile né accettabile che la quarantena in questa regione sia stata adottata solamente l’8 marzo 2020, con due giorni di anticipo dal resto del Paese.
Ci siamo adagiati sulle parole di virologi mandati in televisione appositamente per rassicurare il pubblico: «Andate nei ristoranti! Uscite! Non esistono prove che ci si contagi mangiando una pizza» ci ripetevano come un mantra da Rai1 a La7. La tv generalista ha sfoderato medici e virologi che raccontassero come il Coronavirus causasse nulla di più di una normale influenza, nei casi peggiori, una polmonite. Tutto recuperabile, insomma. Ci hanno riempito la testa di «È importante sottolineare che le vittime sono decedute CON il Coronavirus e non PER il Coronavirus». Rassicuranti anche i dati espressi da intellettuali della medicina generale ospitati nei salotti televisivi per “dare i numeri” e raccontare di come la normale influenza ogni anno mieta migliaia di vittime e che i casi più gravi di Covid-19 fossero già tutti quelli “con un piede nella fossa”.
Falsità, menzogne, cattiva informazione, superficialità. Tutto questo ha costellato la nostra comunicazione nelle prime settimane del virus, quelle cruciali per definire l’assetto italiano dell’epidemia. E che Bergamo e Brescia risultino le città più colpite da questa piaga del Coronavirus non dovrebbe assolutamente sbalordire. È solo l’inevitabile conclusione di decisioni prese in netto ritardo sui tempi di propagazione del virus. Forse scelte portate avanti guardando solo al “dio denaro”.
Perché se è giusto pensare che stare a casa e eliminare i contatti sociali sia una misura necessaria per evitare i contagi, è assurdo e ridicolo pensare di tenere aperte le aziende della zona rossa costringendo i dipendenti a proseguire la vita pre-pandemia. Come a dire: «Chiudetevi in casa, ma andate a lavorare. Non uscite in più di una persona, ma alle 8 tutti in azienda». Giusto, perché il virus funziona ad orari e si propaga solo tra chi va al bar a bere una birra con gli amici. In ufficio otto ore al giorno o in officina scambiandosi gli utensili da lavoro non può avvenire il contagio. Le aziende, quelle continuano ad andare avanti.
Confindustria ha disposto che tutto prosegua normalmente, ma adottando misure igienico-sanitarie. La chiusura delle fabbriche nella zona rossa resta, dunque, a discrezione dei singoli capi. Come a dire, se volete farvi le scarpe l’un l’altro continuate a lavorare, altrimenti, se ci tenete ai vostri dipendenti più che al fatturato, chiudete. E chi va avanti a guadagnare è chi è meno interessato ai propri lavoratori. Al “dio denaro”, appunto.
Come ne usciremo da questa pandemia e quando non ci è dato sapere, per ora si deve continuare con la prevenzione e la quarantena. Ma chi resisterà alla fine di questa battaglia dovrà fare i conti con chi in questi mesi ha dato poca importanza alla vita e alla salute dei propri sottoposti. E con chi da anni ha fortemente voluto apporre tagli su tagli alla sanità pubblica, quella che in questo triste momento più che mai mette a disposizione i propri collaboratori per salvare la nostra vita, a volte a triste discapito della propria.
Anna Catalano