di Giuseppe Rigotti
Finalmente è arrivato un nuovo esecutivo, questa volta indirizzato all’avvisaglia del tecnico (con almeno 8 di Draghi) ma avendo l’intento di sovrapporre il rito del ‘tutti dentro’ in politica scalando le consultazioni successive e concedendo un’ampia maggioranza. Cionondiméno congelando le maglie simboliche e ubbidendo al rovescio parlamentare cui potremmo assistere durante l’evolversi della neo spalmata legislatura. È un bene “troppo rischioso” coinvolgere i quesiti all’ interno, o sopperire le differenze ideologiche.
Eppure i padri costituenti ci insegnano che gli animi sono reversibili quando c’è imminente pericolo per la rappresentanza democratica: evidentemente l’euforia sta divorando gli animi dei loro stessi leader, ormai aggrappati per salvaguardare le natiche. Ci credono di meno, i partiti sono diventati oggettivamente degli imbuti. Dopo Pd e 5 Stelle anche il centro destra perde coesione da una parte, tanto da essere fondamentale sull’unica decisione collegiale-paternalistica di accreditare nel buio una compattezza “sui generis”, stecca di trasformismi e contraddizioni. Diversamente invece per Giorgia Meloni che si oppone al totalitarismo per gli incarichi, introducendo coerenza alle sue “azioni”. Paradossalmente una soluzione di soli tecnici avrebbe portato patiboli in parlamento, una frustata indegna e illegittima.
Ma di chi è il vero consenso?
Impossibile saperlo senza il beneficio delle elezioni, i sondaggi remano per il 75% intorno alla fiducia di Mario Draghi. Costui anche se toglierà le castagne dal fuoco rafforzando il recovery plan, a un certo punto dovrà comunque imbattersi in pillole di opposizione e complotti. Come dice un vecchio detto: “In politica prima si invita, poi ci si avvelena”, c’entra sempre l’oscurantismo dei suoi discepoli.
Redazione