-Una chiamata e via- per decidere concretamente le sorti del Pd: dopo il distacco dimissionario di Zingaretti toccherà al successore Enrico Letta guidare il carro fuori la sterpaglia; costui anche da accademico (di rango) non ha mai smesso di curvare la schiena per la “politica”. Non ha mai rinunciato neanche ai rapporti fidelizzati oltre lo stivale in Europa. D’altronde la politica è un “vizio che non perde mai pelo” canterebbe la musica onesta. Ora che è passata l’assemblea sarà necessario capire il clima degli associati. In che modo sarà possibile stampare piede in terra. C’è il sigillo refrattario, si tratta di facciata oppure cambierà qualcosa?
La soluzione non è sortire i vecchi programmi poiché il -problema indice- deposita nel riscrivere qualcosa di significativamente unitario, facendo attenzione a smuovere e riconoscere le piazze lì dove sono puntuali i grillini. Si procederà per la confortante azione politica coinvolgendo la “direzione strutturale” del partito, seguendo nella sostanziale formula (più fatti e meno vertici), ad affiancarli potranno intervenire le ‘sardine’ assolvendo proprio quella carica comiziale inchiodata da slogan e -personalismi tormentati-.
Il vero scompiglio sono le amministrative e non sarà facile risalire la cresta dei sondaggi; negli anni il Pd ha emancipato la borghesia e soppresso le ultime categorie, così ha resistito, assecondando in quel ‘campo sporco le ammucchiate disarmando -i diritti-. Tante sono le domande dei tesserati per comprenderne la salute. Il neo segretario avrà coraggio nel cercare sotto al tappeto?
Per ora consideriamo il nuovo campo come “progressismo” che non dovrà essere plasmato dal gioco perverso delle correnti (si spera); ma l’analisi da cogliere è che Enrico Letta abbia facoltà di invadere la fatica anche quando a sorprendere saranno gli incalliti “confronti”. Si è scelto, e tra un’abitudine e l’altra ci piace misurare la -grandezza- del convento.
Stefano Bianco