di Giuseppe Rigotti
Con un centrodestra così vulnerabile la sinistra non cambia e utilizza la solita testa di piombo, tra l’ altro godendo del meccanismo mainstream più appropriato: disfa e crea alleanze a suo piacimento dividendo qualsivoglia il pasto coi “Marchesi grillini”. È lì, che oscilla l’ elettorato storpiato, (bevitori di laute promesse farlocche) anche se per il momento regge sinistrosamente la facciata.
L’ esito delle elezioni per il centrodestra evidenziano l’ abbandono di una class-action spenta nelle proprie intenzioni: continuare a difende il mezzo fortino pur di eccepire la fisionomia da leader, insistere nella competizione interna in cui è lecito perdere incrociando il demerito: prova ne costituisce la scelta dei candidati, in cui la sinistra -furbescamente- a -confronto- ha scelto di mettere sotto l’ ombrello nomi che erano già stati battezzati (Gualtieri a Roma), facendo leva per l’ autorevole curriculum di servitore politico già fantino ai corridoi delle sedi Istituzionali, così da concedere in ampio spazio la fioritura della nuova stagione capitolina. Niente male.
Il centrodestra avrebbe potuto cambiare il risultato con l’ ammiccamento nazionale di Guido Bertolaso, ma invece ha preferito ragionare con modestia sperimentando l’ avvicinamento di un nuovo elettorato. D’ altra parte non è che per l’ intera politica ci sia tanto da gioire, considerando il 56,6% di astensionismo ai ballottaggi ci sarebbe da tornare a casa disperati o da scappati di casa. Siamo di fronte ad un buffetto?
Questo limite rischia di riproporsi alle prossime elezioni politiche: fosse davvero così, ed è così, anche i dem devono autoconvincersi di trovarsi in balia di un “otto nero” pericolosissimo, in cui la democrazia ha già perso di significato rappresentativo; e con “Draghi” a palazzo (non aggraziato dal voto popolare) è facile rimarcare una tale -simbolica- protesta.
Redazione