«Perché men paia il mal futuro e ‘l fatto, veggio in Alagna intrar lo fiordaliso, e nel vicario suo Cristo esser catto.
Veggiolo un’altra volta esser deriso; veggio rinovellar l’aceto e ’l fiele, e tra vivi ladroni esser anciso».
Con questi versi Dante pennella lo “schiaffo” inferto ad Anagni a papa Bonifacio VIII dai francesi, già nel 1300 desiderosi di assoggettare la penisola italiana.
A solo una settimana dalla firma del “Trattato per una cooperazione bilaterale rafforzata” tra Francia e Italia, il novello re di Francia Emmanuel Macron ha negato il proprio sostegno al rinnovo della carica di Presidente dell’Europarlamento all’italiano David Sassoli. Sarebbe stato lo stesso Macron a comunicare la sua decisione a Sassoli, in un incontro avvenuto il 2 dicembre a Strasburgo.
Le cronache ufficiali dei giorni scorsi ci hanno ben spiegato i complessi equilibri politici dietro la nomina del presidente del Parlamento europeo. E’ pratica consolidata che Partito popolare europeo e Socialisti & Democratici si alternino sullo scranno più alto dell’Europarlamento con una staffetta a metà legislatura. Tale consuetudine è stata confermata dall’accordo di inizio legislatura tra i partiti che compongono la “maggioranza Ursula”, cioè PPE, Socialdemocratici, Liberali e Verdi; accordo in base al quale dopo due anni e mezzo di presidenza del socialista Sassoli, il popolare tedesco Manfred Weber avrebbe dovuto prendere la guida del Parlamento UE. Ma poiché lo scorso settembre Weber vi ha rinunciato, Sassoli si era ufficiosamente candidato a guidare l’Europarlamento anche nella seconda metà della legislatura. Tale candidatura sarebbe divenuta politicamente giustificabile dopo la vittoria di Olaf Scholz alle elezioni tedesche. Questa era anche l’interpretazione di Enrico Letta, che aveva sostenuto la conferma di Sassoli.
Il Presidente francese, attraverso Renew Europe – il gruppo dei parlamentari europei da lui controllato – ha ritenuto che fosse più utile scaricare il presidente italiano al fine di preservare i propri interessi di partito, attenendosi agli accordi del 2019 e sostenendo l’elezione di un esponente del PPE. Il quale nel frattempo ha scelto l’eurodeputata maltese Roberta Metsola per la successione a Sassoli.
I socialdemocratici affermano che il patto tetragono era stato infranto già l’anno scorso, quando il conservatore irlandese Pascal Donohoe era stato nominato alla presidenza dell’Eurogruppo al posto della socialista spagnola Nadia Calviño. La perdita del posto di presidente del Parlamento di Bruxelles è quindi una colpa politica per i socialisti. La colpa di non essere stati capaci di far valere i propri presunti diritti.
Come se non bastasse, la nomina di un popolare alla presidenza dell’Europarlamento potrebbe dare a Macron il pretesto per imporre la sostituzione della popolare Ursula von der Leyen con la liberaldemocratica – e quindi di fatto a lui responsabile – Margrethe Vestager alla testa della Commissione europea. Scelta che Macron non era riuscito a far valere nel 2019 a causa dell’opposizione di Angela Merkel.
In altre parole, pacta sunt servanda sì, ma solo pro domo sua.
La bocciatura di Sassoli da parte di Macron avviene nonostante il Trattato del Quirinale da poco firmato affermi che Parigi e Roma hanno una «volontà di concertazione in tutti i settori» e che «le Parti si consultano regolarmente e a ogni livello in vista del raggiungimento di posizioni comuni sulle politiche e sulle questioni d’interesse comune». Ovvero, alla luce del trattato Sassoli avrebbe potuto (e dovuto) essere utile anche agli interessi francesi in Europa. Allora perché Macron lo ha scaricato?
Probabilmente il presidente francese non ha dimenticato la polemica da lui innescata con Sassoli nel 2020, quando nel pieno della pandemia il presidente italiano dell’Europarlamento, per cercare di rallentare il contagio, bloccò la consueta staffetta tra Bruxelles e Strasburgo dei lavori dell’Europarlamento facendoli svolgere solamente nella capitale belga. Scelta saggia quella di Sassoli, anche perché avrebbe avuto l’effetto, forse non voluto ma certamente positivo, di fermare lo sperpero di soldi del contribuente europeo a cui quella staffetta costa più di 103 milioni di euro l’anno. Fatto sta che Macron indirizzò una lettera a Sassoli intimandogli di riattivare le sedute dell’Europarlamento a Strasburgo “senza ulteriori ritardi”.
La amara realtà è ben diversa dall’atmosfera idilliaca raffigurata dai sorrisi che hanno fatto da cornice alla cerimonia di firma del Trattato del Quirinale. Se mai ce ne fosse ancora bisogno, lo schiaffo di Strasburgo del 2 dicembre dimostra che l’Unione europea non è un’entità geopolitica né tantomeno un soggetto dotato di sovranità internazionale. Essa non è l’Eden dove i fratelli europei sciolgono i propri interessi nazionali in un interesse superiore europeo. L’Unione europea è un consesso in cui gli Stati europei (quasi tutti con poche eccezioni tra cui l’Italia) cercano di perseguire i propri interessi nazionali, siano essi di dominio sul Continente (Francia e Germania), siano essi di sicurezza dalla Russia (ex-Paesi socialisti) o dalle minacce mediterranee (Grecia, Cipro e Malta). Essa è come un condominio dove i condòmini che hanno più millesimi cercano di usare la proprietà degli altri come proprie dépendance.
Lo “schiaffo” di Strasburgo è uno schiaffo al partito più francofilo d’Italia, il PD. Ma soprattutto è uno schiaffo all’Italia. Sapranno i nostri politici e diplomatici chiedere un “risarcimento” nelle prossime consultazioni con i francesi? L’esito dei dossier TIM, Oto Melara-Wass e, speriamo, la riapertura del dossier Fincantieri-STX ce lo dirà.
Gaetano Massara