«La più grande catastrofe geopolitica del XX secolo». Questa espressione pronunciata da Putin nel 2005 per descrivere il crollo dell’Unione Sovietica aiuta a decriptare il significato della proposta avanzata dalla Russia il 17 dicembre scorso e ribadita da Putin a Biden nel colloquio telefonico del 30 dicembre. Proposta di uno stop all’allargamento della Nato in cambio della neutralizzazione dello spazio ex sovietico.
L’esito della proposta del Cremlino determinerà la traiettoria futura dell’Orso euro-asiatico, con inevitabili ripercussioni sull’Ucraina e la Bielorussia. Ma ci sono fattori strutturali e permanenti che determinano le linee guida della politica estera russa che non possono essere ignorati. Proviamo a riassumerli.
La geografia e la storia
La pianura sarmatica, estendendosi per migliaia di chilometri ad Ovest degli Urali e priva di elementi orografici difensivi costituisce un immenso corridoio che rende vulnerabile il nucleo russo. Attraverso questo corridoio nei secoli le truppe vichinghe, mongole, polacche, napoleoniche e naziste penetrarono il territorio russo fino a Mosca. Fin dalla costituzione del nucleo originario dello Stato russo nel Medioevo, gli imperativi geopolitici della Russia non sono cambiati. Essi sono la conquista di porti liberi dai ghiacci che consentano i commerci e la proiezione della marina attorno al continente euroasiatico e il raggiungimento di frontiere naturali sicure o quantomeno l’interposizione di uno spazio più ampio possibile tra i propri confini e l’aggressore potenziale.
A partire dal Regno di Rus, detto anche Regno di Kiev, si produsse nel corso dei secoli l’espansione dello Stato russo secondo una «politica del carciofo».
Dopo la liberazione dai mongoli, Ivan III il Grande trasformò lo Stato moscovita in uno Stato unitario. Adottando l’aquila bicipite bizantina come emblema, egli significava che la Russia si compone di un’anima europea e una asiatica e che la «Terza Roma», Mosca, aveva la missione di creare un impero cristiano universale guidato dallo «zar di tutta la Russia».
Ma bloccata a Est dai polacchi e a Sud dall’Impero ottomano, la Russia era costretta a scaricare le proprie necessità di sopravvivenza-espansione volgendo lo sguardo verso Est. Fu Ivan IV nel XVI secolo a iniziare la colonizzazione della Siberia. Avanzata verso Est che venne proseguita per tutto il XVII secolo dai primi zar Romanov e che fu virtualmente conclusa nel 1791 addirittura con la conquista dell’Alaska.
Nel frattempo Pietro I il Grande, con la vittoria sulla Svezia del 1721, si era aperto una «finestra sull’Europa» attraverso la conquista degli Stati baltici e la fondazione della città di Pietroburgo. Potenza europea ed asiatica allo stesso tempo, nonostante dominata dalla nazionalità russa, la compagine statuale si connotava sempre più per il suo carattere di impero multinazionale.
Messo in sicurezza l’accesso al Baltico, furono le zarine Caterina I e Caterina II nel XVIII secolo a guadagnare l’accesso al mar Nero, compresa la Crimea. Con l’annessione della regione di Varsavia, della Finlandia e della Bessarabia in seguito all’ennesima guerra russo-turca ad inizio ‘800, la Russia zarista raggiungeva l’apice della propria estensione territoriale.
La Rivoluzione d’Ottobre e il crollo dell’impero zarista portarono alla nascita dell’Urss, il cui territorio occidentale veniva amputato dalla creazione delle repubbliche indipendenti di Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia e Finlandia e dalla perdita della Bessarabia a vantaggio della Romania. Nonostante lo Stato successore della Russia zarista conservasse l’accesso al Mar Baltico e al Mar Nero, esso vedeva arretrare considerevolmente la propria frontiera occidentale. In particolare, il confine del nuovo Stato polacco con l’Urss veniva fissato 250 km a Est della frontiera etnica.
La vittoria nella Seconda guerra mondiale consentì alla Russia, attraverso l’Unione Sovietica, di raggiungere la sua massima potenza. Le Repubbliche Baltiche e la Bessarabia (Moldova) furono annesse all’Urss come Repubbliche Socialiste Sovietiche. Lo spostamento verso Ovest del nuovo Stato polacco consentì alle Repubbliche sovietiche di Ucraina e Bielorussia di mantenere le frontiere con quel Paese come determinate dall’accordo sovietico-nazista del 1939. A parziale compensazione per le perdite a Est, a Ovest la Polonia inglobò i territori della Germania orientale fino all’Oder-Neisse. Con la costituzione di Repubbliche popolari in Europa centrale compresa la Repubblica Democratica di Germania, l’Urss estendeva il proprio controllo fino al cuore dell’Europa stendendo una profonda zona cuscinetto a protezione del nucleo russo.
Il crollo del muro di Berlino e lo smantellamento del Patto di Varsavia determinarono un arretramento di tale zona cuscinetto di più di mille chilometri. Inoltre, l’affrettata dissoluzione dell’Unione Sovietica portava alla nascita di 15 repubbliche indipendenti, tra cui quelle di Ucraina e Bielorussia, potenzialmente ostili a Mosca. Così, lo Stato successore dell’Urss, la Federazione Russa, si trova oggi a governare un territorio inferiore a quello della Russia zarista del 1914. In più, l’ingresso nella Nato delle repubbliche baltiche e dei Paesi dell’Europa centro-orientale ha posto lo “spazio russo” a diretto contatto con i nemici della Nato. Un eventuale allargamento della Nato all’Ucraina o alla Bielorussia sarebbe come affondare il coltello nella carne viva. Ciò mette Putin nella scomoda posizione di non poter accettare ulteriori allargamenti della Nato ai confini della Russia. Anche perché i russi di oggi nutrono grande nostalgia per l’Unione Sovietica pur non rimpiangendo il comunismo.
L’ideologia politica
L’ideologia è al servizio dell’interesse geopolitico. Il quale resta immutato nel tempo, al contrario della prima. L’attuale Federazione Russa è erede dell’Urss, che a sua volta era erede dell’impero zarista. Fu addirittura Stalin a riconoscerlo, come quando si dichiarò disposto a sacrificare l’ideologia marxista-leninista in cambio della riunificazione della Germania per farne uno Stato neutrale e dalla proprietà condivisa con gli altri vincitori. Cosa agli occhi di Stalin preferibile alla piena proprietà della sola DDR perché avrebbe consentito alla Russia-Urss di estendere la propria fascia di protezione fino alla ricca Renania.
Mentre il marxismo-leninismo fu il cavallo di Troia che consentì alla Russia-Urss di esercitare la sua influenza all’estero, il panslavismo è sempre stata la chiave per arruolare alla causa russa gli Slavi del Nord e del Sud nel momento del bisogno. All’indomani dell’invasione tedesca dell’Urss, Mosca aveva convocato il primo congresso panslavo per incitare «i fratelli slavi oppressi» alla «guerra di liberazione nazionale», come ancora oggi in Russia viene ricordata la Seconda guerra mondiale. Ma i polacchi non dimenticano le spartizioni russe del loro territorio di fine ‘700 e del 1939 né l’eccidio di Katyn.
L’Idea Russa è invece l’ideologia elaborata nella Russia zarista di inizio Ottocento, bandita dall’Urss e poi resuscitata da Putin “a difesa della torre”. Essa riguarda le attività di introspezione dei russi circa la loro nazione e la sua missione nel mondo. Secondo Dostoevskij, essa è la realizzazione in forma patriottica della morale universale. La quale si realizza attraverso l’opera della patria russa, delegata a ciò da Dio.
L’identità nazionale
Pilastri dell’identità nazionale russa sono la lingua e la Chiesa ortodossa. L’Idea Russa è l’architrave ideologico che le tiene assieme in un progetto coerente di grandezza e unicità della Patria russa. La realizzazione geopolitica dell’Idea Russa avviene per mezzo del Mondo Russo (Russkij Mir), concetto culturale e geopolitico all’incirca equivalente a quello della Grande Russia, con al centro la diaspora russa. Secondo la definizione di Putin del 2001 «la nozione di Mondo Russo si estende lontano dai confini geografici della Russia e persino dai confini dell’etnia russa».
Nel giorno della dissoluzione dell’Urss, il giorno di Natale del 1991, si contavano più di 25 milioni di piedi rossi, ovvero russi residenti in una delle repubbliche ex sovietiche che non fossero la Repubblica Russa. Di questi si calcola che ad oggi circa cinque milioni siano rientrati nella Federazione Russa. Ne rimangono circa 20-22 milioni ancora residenti in quello che fu lo spazio sovietico, di cui circa otto milioni concentrati in Ucraina, Bielorussia, Moldavia e Kazakistan. E’ innanzi tutto su questa diaspora che Mosca ripone le proprie ambizioni per mantenere la propria sfera di influenza nello spazio ex sovietico.
I piedi sovietici invece, cioè gli ex cittadini sovietici residenti nel territorio di una delle 15 ex repubbliche sovietiche che non sia quella di appartenenza, nei primi anni ’90 ammontavano a circa 73 milioni. Di essi si può stimare che i non russi siano circa 40 milioni. A tutti questi, Madre Russia apre le braccia, anche con la concessione della cittadinanza, purché parlino la lingua di Cirillo e professino la “fede russa”.
La difesa dell’identità russa attraverso la protezione e il sostegno della diaspora russa all’estero è un principio sancito dalla stessa Costituzione della Federazione Russa.
Mentre l’Ucraina ha sancito costituzionalmente che l’ucraino è l’unica lingua ufficiale del Paese ed ha fortemente limitato l’uso delle lingue delle minoranze (leggi: il russo) nella sfera pubblica, la Bielorussia ha operato nella direzione opposta dando al russo lo status di lingua ufficiale.
La religione
La Chiesa ortodossa russa non è solo la Chiesa della Federazione Russa. Essa è la Chiesa del Mondo Russo. Per questo è funzionale alle aspirazioni imperiali di Mosca. La cristianizzazione della Grande Russia inizia a Kiev nel 988, col battesimo del Re di Rus, Vladimiro I. E Putin nel 2013 sfruttò l’occasione dell’anniversario della cristianizzazione della Rus per recarsi a Kiev, la capitale del primo Stato degli slavi Nord-orientali, per sostenere il leader filo-russo Viktor Janukovyc e ribadire il legame storico tra Russia e Ucraina. La quale a metà del Seicento fu spartita sulla linea del Dnepr tra Polonia e Russia. La quale deteneva il potere militare nella porzione di Ucraina da essa governata ma subiva l’influenza culturale dei «piccoli russi», come venivano chiamati gli ucraini.
La proclamazione della Chiesa ucraina autocefala nel 2018, subito riconosciuta dal patriarcato di Costantinopoli, sancendo la scissione della chiesa ortodossa ucraina dal patriarcato di Mosca acuisce la distanza tra le due nazioni. Questo era d’altra parte l’obiettivo dell’ex Presidente filo-occidentale ucraino Petro Poroshenko, il quale ha attivamente sostenuto lo scisma e ne ha salutato la creazione come «una Chiesa senza Putin e senza Kirill (il patriarca di Mosca)». Differente è il caso della Chiesa ortodossa bielorussa, la quale rimane un esarcato dipendente dal patriarcato di Mosca.
Le traiettorie di Ucraina e Bielorussia
Nonostante le profonde influenze reciproche tra Russia, Ucraina e Bielorussia, le traiettorie dei percorsi intrapresi dalle due «sorelle minori» della Russia potrebbero lasciar intravedere una divaricazione tra le loro destinazioni finali.
Nel caso dell’Ucraina, già nel luglio del 1991 essa sfruttò lo scontro tra Gorbačev e Eltsin sostenendo il secondo a vantaggio della superiorità gerarchica delle leggi delle repubbliche su quelle dell’Urss, ma aggiungendovi la creazione di un esercito e di una valuta nazionale, la neutralità militare e la denuclearizzazione del Paese. Gli anni Duemila sono stati caratterizzati dalla rivoluzione arancione e dallo scontro tra le forze filo-occidentali, guidate da Viktor Jushenko, e quelle filorusse, guidate da Viktor Janukovyč. Scontro che ha avuto un’escalation a partire dal 2013, quando durante il suo viaggio a Kiev Putin ha ottenuto dal presidente Janukovyč la denuncia dell’accordo di associazione con l’UE in cambio di un prestito di 15 miliardi. A cui è seguita la rivolta di Jevromajdan che ha imposto una svolta filo-occidentale ed il ritiro del presidente Janukovyč. La risposta di Putin è stata la riannessione della Crimea, che Kruscev aveva ceduto all’Ucraina nel 1954, e la secessione delle provincie a maggioranza russa del Donbas. La rivolta di Jevromajdan ha avuto un seguito con gli emendamenti costituzionali del 2019, in base ai quali l’Ucraina si pone l’obiettivo dell’adesione all’Unione europea e alla Nato. La risposta del Cremlino è giunta lo scorso luglio, con la pubblicazione dell’articolo «Sulla unità storica dei Russi e degli Ucraini».
La traiettoria finora tracciata dalla Bielorussia del dittatore Aljaksandar Lukašenka, presidente dal 1994, è molto diversa da quella dell’Ucraina, tanto che quella bielorussa è definita da alcuni come «una storia sovietica di successo». Con un quarto della popolazione uccisa durante l’occupazione tedesca e il tessuto produttivo nazionale azzerato, la Bielorussia è divenuta nel secondo dopoguerra la più ricca delle repubbliche sovietiche. Ed anche dopo lo scioglimento dell’Urss, è rimasta una delle repubbliche ex sovietiche con il Pil pro capite più elevato. E’ anche per questo che nel referendum del 1995 i bielorussi hanno approvato il progetto di un’integrazione economica con la Russia – ancora da attuarsi – e che la Bielorussia è l’unica ex repubblica tra quelle sul fronte occidentale dell’Urss a non aver mai espresso la volontà di adesione all’Unione europea o alla Nato.
La crisi migratoria ai confini tra Bielorussia, Polonia, Lituania e Lettonia della scorsa estate si inscrive in questo contesto. La Polonia recita da anni il ruolo di potenza regionale, fiero avamposto dell’Alleanza atlantica in faccia al mondo grande russo. Coerentemente, essa cerca di estendere la propria influenza su Ucraina e Bielorussia, specialmente su quelle regioni ad essa appartenute prima della Seconda guerra mondiale. L’utilizzo dei migranti a fini ricattatori per indurre l’UE a ritirare le sanzioni imposte contro Minsk dopo le presunte frodi elettorali di Lukašenka hanno sortito l’effetto voluto dai due autocrati slavi: la costruzione di un muro protettivo da parte della Polonia ai confini con la Bielorussia darà rappresentazione plastica alla nuova cortina di ferro. Ad Est del muro non ci saranno né Nato né UE.
Nel frattempo, con circa 100 mila soldati russi ammassati al confine con l’Ucraina, la situazione è divenuta incandescente. Si sta avverando la profezia di Henry Kissinger, secondo il quale «se l’Ucraina vuole sopravvivere e prosperare non deve diventare l’avamposto di una parte contro l’altra ma fare da ponte tra le due». Avendo scelto di stare nel campo occidentale, sebbene non ancora formalmente entrata nella Nato, continuerà ad essere esposta alle rappresaglie russe.
L’offerta russa e il possibile ruolo dell’Italia
Si spiega così la richiesta russa del mese scorso ai Membri della Nato: https://mid.ru/ru/foreign_policy/rso/nato/1790803/?lang=en In cambio di una de-escalation militare, Mosca chiede un impegno scritto a fermare l’allargamento dell’Alleanza atlantica, a non svolgere operazioni militari nel territorio delle repubbliche ex sovietiche che non sono ancora membri della Nato e a tornare alla situazione precedente al 1997.
«La Dichiarazione congiunta della Federazione Russa e della Repubblica Popolare Cinese sullo sviluppo del partenariato globale e delle relazioni di interazione strategica che entrano in una nuova èra» sottoscritta da Putin e Xi nel 2019 e ribadita lo scorso 15 dicembre dovrebbe suonare come campanello d’allarme per l’Occidente. Ciò imporrebbe un aggiornamento della prospettiva di riavvicinamento della Russia come terzo polo di un Occidente euro-russo-americano. Ciò è stato implicitamente suggerito dalla Russia stessa nella sua proposta del 17 dicembre, in cui richiama la Dichiarazione di Roma del 2002 sulle «relazioni Russia-Nato: una nuova qualità».
La Dichiarazione di Roma, conosciuta anche come Accordi di Pratica di Mare, fu un successo della politica estera italiana nel contenimento della minaccia più pericolosa di allora, il terrorismo islamico. L’Italia non deve lasciarsi sfuggire questa occasione per tornare a recitare un ruolo di primo piano nella riattivazione di un partenariato Russia-Nato, per il contenimento della nuova intraprendenza cinese e della minaccia terroristica.
Gaetano Massara