L’impennata dei prezzi dell’elettricità, del gas e del petrolio tra la fine dello scorso anno e l’inizio di questo ha richiamato l’attenzione delle opinioni pubbliche e dei governi europei sull’urgenza di una soluzione di lungo termine al problema della sicurezza energetica del Vecchio Continente. Secondo il cosiddetto “trilemma” energetico, la sicurezza degli approvvigionamenti energetici deve essere compatibile con gli imperativi di una transizione ambientale verso un’economia a zero emissioni nette entro il 2050 e della sostenibilità economica della bolletta energetica.
I motivi per cui i prezzi dell’energia sono saliti vertiginosamente sono diversi dalle crisi energetiche precedenti: il graduale successo delle economie industrializzate nella lotta alla pandemia, che ha consentito un’intensa ripresa della produzione industriale; l’ondata di freddo; il trasferimento forzato delle persone in Cina per evitare che il coronavirus minacciasse la celebrazione del nuovo anno; e, soprattutto, le tensioni geopolitiche.
La produzione europea di gas naturale è appena sufficiente a coprire il 10% della domanda interna. E non è possibile né, secondo alcuni, auspicabile aumentare significativamente la produzione europea di combustibili fossili. Pertanto, l’Europa deve, e dovrà continuare, a guardare all’estero per garantire il proprio approvvigionamento. Circa il 40% del gas consumato in Europa viene importato dalla Russia, una cifra che sale a quasi il 100% nel Nord del continente e nei Paesi baltici. La Russia esporta gas in Europa principalmente mediante quattro gasdotti: North Stream attraverso il Mar Baltico, Yamal attraverso la Bielorussia, Brotherhood attraverso l’Ucraina e Turkstream attraverso la Turchia.
L’aggravarsi della crisi tra Russia, Ucraina e Paesi Nato ha portato Putin a “chiudere il rubinetto” dei gasdotti Yamal e Brotherhood come strumento di pressione sull’Occidente. Una delle conseguenze più pericolose di questa azione russa è stata il calo delle riserve europee di stoccaggio del gas al di sotto del 50% della capacità totale.
La reazione occidentale ha assunto diverse forme. In primo luogo, sia gli Usa che l’Ue hanno approvato nuove sanzioni economiche contro la Russia. Tra questi, il rifiuto (temporaneo) all’autorizzazione dell’avvio del gasdotto North Stream 2, già realizzato e che raddoppia la capacità di fornitura diretta dalla Russia alla Germania. Questa decisione è fonte di aspro dibattito. A nessuno infatti sfugge che, mentre la mossa rappresenta un fastidio per le finanze di Mosca, l’Europa continuerà ad aver bisogno di molto gas russo, magari fornito con altri mezzi e per molti anni a venire.
In secondo luogo, gli Stati Uniti hanno parzialmente sostituito la Russia nella fornitura di gas all’Europa, in particolare sotto forma di gas naturale liquefatto (GNL). Fino a sei anni fa, la superpotenza non immetteva nemmeno un metro cubo di gas sui mercati internazionali. In questi anni è riuscita ad aumentare così tanto la sua produzione, in particolare sotto forma di gas di scisto, da diventare il più grande esportatore mondiale di GNL davanti a Qatar e Australia. Ma ciò che distingue l’offerta di gas statunitense da quella russa è la dinamica dell’offerta. Mentre il fornitore di gas russo è una società semistatale, Gazprom, che persegue esplicitamente gli interessi nazionali russi, i fornitori statunitensi sono società private che guardano esclusivamente ai prezzi internazionali e riforniscono coloro che offrono il prezzo più alto. Questo è quanto è accaduto di recente. Sostenuto da livelli record nei giorni precedenti a Natale – quando il prezzo del gas in Europa è salito a 175 euro per MWh, dieci volte di più che un anno prima – decine di navi metaniere statunitensi che si stavano dirigendo verso l’Asia hanno cambiato destinazione dirigendosi verso l’Europa. Secondo il think tank Bruegel, «il famoso “gas della libertà” di cui parlava Trump non dipende dal governo degli Usa ma andrà dove ci sono prezzi migliori». Per questo, secondo l’agenzia Reuters, la Casa Bianca sta dialogando con le aziende del settore per delineare piani di emergenza nel caso in cui la Russia opti per un brusco taglio dell’offerta. Nonostante ciò, l’aumento delle esportazioni di GNL dagli Usa non è sufficiente a soddisfare la sete europea di gas nel lungo termine.
Tassonomia climatica e confronto sulla “etichetta verde” ad atomo e gas
La necessità di trovare una soluzione strutturale al “trilemma” energetico spiega la terza forma di risposta europea alla crisi energetica. Il 2 febbraio la Commissione Europea ha approvato un atto delegato complementare alla tassonomia verde – l’elenco delle tecnologie che possono contribuire alla lotta ai cambiamenti climatici e che aspira a diventare il riferimento mondiale per gli investitori – che include gas ed energia nucleare. Secondo la dichiarazione della Commissione Europea, «affinché l’UE diventi climaticamente neutrale entro il 2050, sarà necessaria una significativa componente di investimento privato. La tassonomia dell’UE cerca di indirizzare gli investimenti privati verso le attività necessarie per raggiungere tale neutralità. La classificazione tassonomica non determina se una determinata tecnologia farà o meno parte dei mix energetici degli Stati membri. Si tratta di accelerare la transizione utilizzando tutte le soluzioni possibili per aiutarci a raggiungere i nostri obiettivi climatici. La Commissione ritiene che gli investimenti privati nelle attività dei settori del gas e dell’energia nucleare possano svolgere un ruolo in questa transizione. Le attività basate sull’energia nucleare e sul gas previste sono in linea con gli obiettivi climatici e ambientali dell’UE e ci consentiranno di abbandonare più rapidamente attività più inquinanti, come la produzione di energia elettrica da carbone, a favore di un futuro climaticamente neutrale e basato in via prevalente sulle fonti rinnovabili».
La decisione di classificare il nucleare e il gas tra le tecnologie di transizione significa che esse non devono ancora essere sostituite da altre tecnologie a basse emissioni e più sostenibili. Nel caso del nucleare, questa “etichetta verde” sarà assegnata ai progetti che saranno approvati prima del 2045. Dati i tempi di costruzione di tali infrastrutture e la loro vita utile, i nuovi reattori nucleari potrebbero essere operativi fino alla fine di questo secolo. Per il gas, la data limite per gli investimenti compatibili con la tassonomia è il 2030.
Il progetto di regolamento entrerà automaticamente in vigore il 1° gennaio prossimo, a meno che il Consiglio dei ministri dell’UE o il Parlamento europeo non vi pongano il veto. Ma la divisione tra sostenitori e detrattori dell’una e dell’altra fonte di energia rende praticamente impossibile raggiungere la maggioranza necessaria a modifiche del testo.
La decisione ha suscitato molte polemiche, con il parere contrario di alcuni membri della Commissione Europea e di molti governi dei Paesi membri. Tra questi, alcuni come Spagna e Danimarca restano fermamente contrari all’inclusione dell’atomo e del gas nella lista delle energie verdi. Altri come Austria e Lussemburgo hanno addirittura annunciato la loro intenzione di adire la Corte di giustizia dell’UE. Allo stesso modo, è stata criticata la decisione della presidente della Commissione, la tedesca Ursula von der Leyen, in quanto faciliterebbe il “greenwashing”.
Gli interessi nazionali dietro la battaglia politica a Bruxelles
L’Unione Europea non è (ancora) un’entità sovrana capace di imporsi alla volontà degli Stati membri. Al contrario, è un’organizzazione di Stati sovrani in cui questi cercano di utilizzare le istituzioni comunitarie per promuovere i propri interessi. La dimostrazione di ciò sono le trattative che hanno portato all’atto delegato complementare alla tassonomia climatica. I due soci principali dell’UE, Germania e Francia, sono quelli che hanno raggiunto il compromesso finale pur avendo strategie energetiche apparentemente molto diverse.
Con ben 57 reattori nucleari ad oggi attivi, in Francia l’energia nucleare raggiunge il 75% della produzione di elettricità, mentre in tutta l’UE rappresenta il 27%. Da molto tempo la Francia chiede il riconoscimento dell’energia nucleare quale fonte sostenibile. Al contrario, la Germania dopo l’incidente alla centrale giapponese di Fukushima nel 2011 ha deciso di chiudere i suoi 17 reattori. Berlino ha programmato lo stop completo al nucleare entro la fine di quest’anno, il che significa chiudere presto i tre impianti ancora attivi e trovare un affidabile rimpiazzo ai circa 4.000 MW da essi garantiti. La Germania, inoltre, nel 2021 è riuscita a soddisfare il 45% del proprio consumo energetico attraverso le fonti rinnovabili, le quali non sono programmabili e richiedono fonti di energia di riserva come gas e carbone.
Per quanto riguarda quest’ultimo combustibile, dopo l’impegno preso al Vertice sul clima di Parigi del 2015, il carbone non è più un’opzione energetica di riserva, almeno a lungo termine per la stragrande maggioranza dei Paesi europei. Per questo Berlino ha voluto inserire il gas come fonte consentita nella transizione a un sistema basato sulle rinnovabili. Inoltre, l’”etichettatura verde” all’atomo continuerà a rendere possibile, almeno in via teorica, alla Germania l’opzione di importare elettricità prodotta dalle centrali nucleari francesi nel caso in cui l’energia delle sue centrali a gas non sia sufficiente. In altre parole, i sistemi energetici tedesco e francese saranno sempre più complementari.
Allo stesso modo, il gas è essenziale per Paesi come l’Italia, i Paesi Bassi, la Grecia, il Portogallo o l’Irlanda, che non dispongono di centrali nucleari (solo i Paesi Bassi hanno una “piccola” centrale da 482 MW). Ed è fondamentale anche nei Paesi del “Blocco del gas” (Bulgaria, Cechia, Cipro, Croazia, Slovacchia, Ungheria, Malta, Polonia, Romania e la stessa Grecia), che necessitano di fonti energetiche di transizione dal carbone alle rinnovabili. Lo scorso ottobre la Francia è riuscita a sancire un’alleanza con i Paesi del “Blocco del gas” per un riconoscimento reciproco del nucleare e del gas come fonti di transizione.
Italia divisa
Era nell’interesse dell’Italia che il gas fosse riconosciuto come fonte energetica di transizione. E sarebbe nell’interesse del nostro Paese anche far parte della rosa dei Paesi più impegnati nella ricerca sul nucleare di nuova generazione, quello basato sulla fusione. Invece, il governo e le forze politiche che lo sostengono si sono mostrate divise.
Il ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha affermato che «non realizzerebbe impianti di prima e seconda generazione – a fissione – in quanto complessi, costosi e fonte di problemi. Invece, la fusione nucleare sarà la soluzione. Quando riusciremo a replicare una stella in miniatura di 30 cm, nel 2050-2070, essa produrrà energia senza lasciare detriti radioattivi. Inoltre, dobbiamo studiare reattori piccoli e modulari, più sicuri e con un migliore rapporto costi-benefici». Il Parlamento ha autorizzato il governo a procedere all’inserimento dell’energia nucleare e del gas nella tassonomia. Ma il leader del PD, Enrico Letta, ha affermato che «l’inclusione del nucleare è radicalmente sbagliata. E il gas non è il futuro, va solo considerato nella logica della pura transizione verso le vere energie rinnovabili».
Il tempo dirà chi ha ragione.
Gaetano Massara