Accuse agli speculatori, accisa mobile, diversificazione degli approvvigionamenti di gas. Si può riassumere in questi tre messaggi l’informativa di mercoledì scorso al Senato del ministro per la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani. Mentre le linee guida che hanno ispirato l’intervento del ministro sono state in larga parte condivise dall’Aula, ciò che lascia perplessi è la mancanza di un piano articolato. Vediamo perché.
Il prezzo del gas naturale ha subito un aumento del 750%, da 20 centesimi di euro per metro cubo nel gennaio di un anno fa ad un picco di 1,7 euro di inizio 2022. Tale aumento non trova, secondo il ministro, giustificazione nei fondamentali del mercato, ma solo nella speculazione degli operatori che ricaricherebbero il costo dell’approvvigionamento di margini ritenuti troppo elevati. A parziale spiegazione del rincaro del prezzo del gas, il ministro invoca implicitamente la percepita scarsità delle quantità di gas depositate negli stoccaggi.
In realtà, i 15 depositi italiani di stoccaggio di gas sono riempiti all’incirca per metà della loro capacità complessiva, che è di 18 miliardi di metri cubi, un tasso di riempimento maggiore di quello dei Paesi europei che dispongono di elevate capacità di stoccaggio, cioè Germania, Francia e Paesi Bassi ma inferiore a quello della Spagna. E’ proprio questo il punto: il basso tasso di riempimento medio degli stoccaggi europei, che fa percepire come potenzialmente scarsa agli operatori la disponibilità di gas, con un effetto incertezza che si ripercuote sui prezzi.
Per contenere la scalata del prezzo dei carburanti alla pompa – dagli 1,7 Euro al litro di dicembre a 2,3 Euro al litro di questi giorni – il governo dovrebbe approvare l’introduzione di un’accisa mobile, il cui meccanismo è stato spiegato dallo stesso Cingolani: «siccome c’è stato un maggior gettito IVA generato dall’aumento della base su cui essa è calcolata, il maggior gettito IVA potrebbe essere utilizzato per ridurre l’accisa corrispondentemente e avere una diminuzione di prezzo alla pompa».
Il ministro sembra voler rassicurare gli italiani quando afferma che «dal punto di vista delle infrastrutture di importazione di gas – cinque gasdotti (ndr: sei gasdotti se consideriamo anche il gasdotto che dalla Slovenia entra in territorio italiano a Gorizia ma che ha una portata irrisoria), tre impianti di rigassificazione e 15 depositi di stoccaggio – abbiamo un sistema di approvvigionamento di trasporto diversificato che è abbastanza resiliente, soprattutto rispetto agli altri Stati membri» e che «nel breve termine, cioè tra un mese, anche se dovesse verificarsi una completa interruzione dei flussi dalla Russia, questa non comporterebbe problemi di forniture interne. Eventuali picchi di domanda potrebbero essere assorbiti modulando opportunamente i volumi di stoccaggio, che coprono attualmente il 25% del nostro fabbisogno di gas». Cingolani giustifica la sua tranquillità constatando che «con il flusso registrato in tempi recenti, la fornitura è assolutamente costante in tutta Europa». Inoltre, continua Cingolani, «in questo periodo, grazie al miglioramento delle condizioni climatiche si stima una riduzione della domanda di 40 milioni di metri cubi al giorno». Uno scenario di difficoltà nell’assicurare gli approvvigionamenti «potrebbe avvenire solo in caso di un picco di freddo eccezionale».
Secondo il ministro, dobbiamo invece preoccuparci degli approvvigionamenti nel «medio termine, cioè per l’inverno 2022-2023». Per attraversare il prossimo inverno al caldo e senza pagare bollette salate, «dovremmo riempire gli stoccaggi al 90%, il che vuol dire che per il prossimo inverno ci servono 10 miliardi di metri cubi di gas da mettere in stoccaggio». Inoltre, «la nota dolente è che in questo momento, con un prezzo medio di 1,50 euro per metro cubo, se dovessi stoccare 10 miliardi di metri cubi mi servirebbero 15 miliardi di euro».
La relazione del Prof. Cingolani è indubbiamente istruttiva laddove spiega il meccanismo di formazione del prezzo dell’elettricità, che dipende in larga misura dal prezzo del gas a prescindere dalla quantità effettiva di gas utilizzato in proporzione alle altre fonti di generazione elettrica. Sarebbe stata utile, tuttavia, una disamina dettagliata di come il governo intende svincolarsi dalla dipendenza dalla Russia, che nel 2021 ci ha fornito 29 miliardi di metri cubi di gas, e trovare 10 miliardi di metri cubi di riserve.
Il ministro ha spiegato che nel breve e medio termine le opzioni per aumentare le forniture di gas all’Italia non sono molte. Una potrebbe essere l’aumento dei volumi consegnati attraverso il gasdotto Transmed dall’Algeria, portandoli dagli attuali 21 miliardi di metri cubi all’anno a 27. Dalle cronache risulta tuttavia che il ministro degli esteri Luigi Di Maio, nella sua recente visita ad Algeri, sia riuscito ad ottenere l’impegno per soli due miliardi di metri cubi aggiuntivi. Secondo il ministro, altri 1-1,5 miliardi di metri cubi aggiuntivi potrebbero essere ottenuti aumentando le forniture del TAP – il gasdotto che porta il gas azero sulla costa pugliese – dagli attuali sette miliardi di metri cubi. Ciò significherebbe che gli altri Paesi riforniti dal TAP – Grecia, Bulgaria e Albania – dovrebbero rinunciare all’acquisto di parte del loro gas oppure “girarlo” all’Italia. Il ministro non ha chiarito se il governo si stia muovendo in questa direzione.
Cingolani non concede speranze in quanto alla possibilità di aumentare le forniture attraverso gli altri gasdotti. Per quanto riguarda in particolare Transitgas, il gasdotto che trasporta il gas nord-europeo attraverso il confine italo-svizzero, le forniture all’Italia «sono di 2,2 miliardi di metri cubi e potrebbe in teoria portarne 12 miliardi ma non riceviamo molte forniture dal Nord Europa, che soprattutto in un momento come questo tende a internalizzarle per il proprio mercato». Anche il Greenstream, il gasdotto che arriva dalla Libia, «è massimizzato perché attinge direttamente dai punti di produzione, e trasporta 3,2 miliardi di metri cubi».
Invece, i tre rigassificatori italiani ci forniscono attualmente «circa 9,8 miliardi di metri cubi, e potrebbero arrivare a circa 16 miliardi di metri cubi». Ma a parte un generico: «nelle ultime settimane sono state intraprese azioni per aumentare la disponibilità di gas anche a breve-medio termine con missioni nei paesi produttori come Qatar, Algeria, Angola e Congo», non viene spiegato quanto gas ciascun fornitore si sarebbe impegnato a fornire e con quali tempistiche.
Nessun riferimento alla recente entrata in vigore del Piano della Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee (PiTESAI), voluto dallo stesso Cingolani, che consente la ripresa delle attività di esplorazione ed estrazione di gas interrotta dalla moratoria voluta nel 2019 dal governo Conte I. La speranza è che le nuove concessioni raddoppieranno l’estrazione di metano dai giacimenti nazionali dagli attuali 3,34 miliardi di metri cubi all’anno ad almeno 7 miliardi di metri cubi. Il problema è che per i giacimenti i cui procedimenti autorizzativi sono più veloci, tra ottenimento dei permessi e inizio delle estrazioni ci vorranno come minimo 24 mesi per vedere il primo gas.
Mancano otto mesi all’inizio del prossimo inverno e al momento non si vedono fornitori in grado di sostituire i 29 miliardi di metri cubi di gas russo.
Gaetano Massara