La Commissione affari costituzionali della Camera ha approvato il testo della legge di riforma costituzionale che dovrebbe concedere a Roma poteri simili a quelli attualmente in capo alle regioni. Con l’eccezione della sanità, il Campidoglio avrà autonomia legislativa e di bilancio in materie come infrastrutture, rifiuti e beni culturali. Ciò vuol dire che non sarà più sottoposto al veto della Regione Lazio per la realizzazione di importanti opere, come accaduto durante gli anni della coabitazione tra il sindaco cinquestelle Virginia Raggi e il presidente laziale del PD Nicola Zingaretti. Questi ha infatti dapprima bloccato la realizzazione del termovalorizzatore di Colleferro salvo poi lodare nei giorni scorsi il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, suo compagno di partito, per aver avuto «il merito di trovare una soluzione al problema dei rifiuti nella Capitale». A fare le spese della competizione tra PD e Cinquestelle sono stati i romani, sommersi da rifiuti che vengono prodotti ad una velocità superiore alla capacità di smaltimento.
L’approvazione della legge costituzionale che assegna poteri speciali alla Capitale colmerebbe un ritardo italiano rispetto ad altri Stati europei. Londra, Parigi, Berlino e Madrid godono di uno status speciale nei rispettivi ordinamenti nazionali, e a riconoscimento delle funzioni particolari che una capitale moderna di un grande Paese è chiamata a svolgere, di tipo pratico ma anche simbolico, ricevono ogni anno miliardi dal bilancio statale contro i “soli” 320 milioni di euro di contributi agli investimenti ricevuti nel 2021 dalla Capitale d’Italia.
Non è un caso che Gualtieri abbia atteso l’esito positivo del primo passaggio legislativo della legge di riforma costituzionale per annunciare di voler costruire un termovalorizzatore a Santa Palomba, al confine tra il Comune di Roma e quello di Pomezia, entro la fine della consiliatura. Le due questioni sono legate. Il via libera della Commissione affari costituzionali avvia quel processo di “svincolo” di Roma dalla Regione Lazio propedeutico alla presa di decisioni in autonomia.
A ciò bisogna aggiungere il caro-energia innescato dalla guerra in Ucraina, che ha probabilmente convinto molti dei romani finora scettici circa l’opportunità della costruzione di un termovalorizzatore nel territorio del Comune. Il sondaggio condotto il 22 e il 23 aprile dalla società Izi rivela che l’84% dei romani è a favore del termovalorizzatore, seppure con distinguo e richieste di garanzie.
La salute pubblica
Diversi sono gli argomenti in favore della costruzione di un termovalorizzatore a Roma. Innanzi tutto, la tecnologia e la salute pubblica. Un termovalorizzatore di ultima generazione come quello di Bolzano emette polveri sottili e diossina ben al di sotto dei limiti consentiti dalla normativa europea. Valori simili sono registrati nel termovalorizzatore di Copenhagen – il famoso Copenhill, con pista da sci – che dista solo 2 km dalla residenza dei reali di Danimarca, nei quattro termovalorizzatori di Vienna di cui uno dista 500 metri dal centro della città e in molti altri termovalorizzatori in giro per l’Europa, che per l’80% distano meno di cinque km dal centro urbano di riferimento e trasformano in energia anche i rifiuti provenienti da altri territori.
Situazione opposta a quella del Lazio, che produce circa 720.000 tonnellate all’anno di combustibile da rifiuti (CDR), composto da scarti da differenziata, indifferenziata, carta, fibre tessili, legno e plastica non riciclabile. Solo un terzo del CDR del Lazio “chiude il ciclo” nel territorio della regione: nell’unico termovalorizzatore del Lazio, quello di San Vittore, peraltro di proprietà della municipalizzata romana ACEA.
I rimanenti due terzi di CDR laziale vengono spediti in circa 80 impianti di trattamento in giro per il Nord Italia, soprattutto in Veneto e in Friuli Venezia-Giulia, e l’Europa. Ogni giorno in media 162 autotreni partono da Roma per trasportare i rifiuti in impianti fuori della Regione, il che equivale a più di 59.000 autotreni all’anno che consumano 3,5 milioni di litri di gasolio per percorrere 10,5 milioni di km, rilasciando 1.750.000 kg di CO2.
In Italia ogni anno sono più di 200.000 i camion che fanno la navetta tra i punti di raccolta nelle 14 regioni – per lo più al Centro e al Sud – che non hanno sufficienti impianti di smaltimento e i punti di ricezione presso gli impianti di trattamento e di termovalorizzazione in altre regioni dello Stivale o Paesi esteri.
Su circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani prodotti in Italia ogni anno, secondo l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) nel 2020 il 63% è stato differenziato e trattato, il che pone l’Italia nel suo complesso tra i Paesi più virtuosi d’Europa. Ma il divario tra regioni non ci consente di essere orgogliosi, in particolare noi romani che riusciamo a differenziare solo il 43,75% dei nostri rifiuti. Percentuale più bassa non solo di quella del Nord Italia (71%), ma anche del Centro (59%) e del Sud (54%). Nella Penisola vi è un deficit di capacità di trattamento per 6 milioni di tonnellate di rifiuti industriali non pericolosi e per 5,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani.
Il fattore economico
Secondo, il costo-opportunità rappresentato dal mancato risparmio in bolletta. I gestori degli impianti che ricevono i rifiuti di Roma e delle regioni non virtuose guadagnano tre volte: quando incassano la tariffa per il conferimento dei rifiuti e quando vendono l’elettricità e il calore prodotti attraverso la combustione dei rifiuti. A ciò potrebbe presto aggiungersi la vendita dei crediti di carbonio, il cui valore oggi si aggira sui 100 euro a tonnellata di CO2. Ciò stride con il costo della TARI, il cui valore medio nel 2020 a Roma è stato di 322 euro per nucleo familiare contro una media nazionale di 307 euro.
Il Pacchetto europeo sull’economia circolare
Terzo, la normativa europea. Il Pacchetto sull’economia circolare fissa per il 2035 l’obiettivo minimo del 65% per il riciclaggio dei rifiuti urbani e il tetto del 10% per il conferimento in discarica, tetto che i Paesi europei più ambiziosi hanno tagliato all’1%. Ciò vuol dire che se l’Italia si allineerà ai Paesi virtuosi, la parte né riciclata né conferita in discarica non potrà superare il 34% della quantità totale dei rifiuti urbani oppure, nel caso in cui non si allinei, non potrà superare il 25%. In entrambi i casi, tali quantità dovranno essere smaltite attraverso impianti di termovalorizzazione. A ciò si aggiunge l’obbligo di raccolta differenziata per i rifiuti organici entro il 2023 e per i rifiuti tessili e i rifiuti domestici pericolosi entro il 2025.
La strategia di fondo è di massimizzare la riduzione, il riuso e il riciclo dei rifiuti, preferibilmente nel territorio dove vengono prodotti, e di giungere alla chiusura delle discariche, uno strumento arcaico e dannoso per l’ambiente e il paesaggio.
Il ciclo dei rifiuti e il recupero energetico
Un ciclo dei rifiuti virtuoso dovrebbe essere quello in cui si massimizza la raccolta differenziata, attraverso i cassonetti differenziati, il porta a porta o le isole ecologiche. Ma è anche quello in cui il ciclo viene chiuso con i termovalorizzatori. Differenziata e termovalorizzatori non sono in concorrenza tra di loro. Al contrario, sono strumenti necessari e complementari che svolgono funzioni diverse. Occorre pertanto diffidare dagli estremismi ideologici, sia da parte degli ambientalisti duri e puri che pensano di poter risolvere il problema dei rifiuti facendo affidamento unicamente sulla differenziata sia di coloro che vedono nei termovalorizzatori la scorciatoia che permetterebbe di saltare le fasi della differenziazione e del riciclo.
Una efficace separazione dei materiali è quella che viene operata da famiglie e imprese a monte del ciclo dei rifiuti. Innanzi tutto, la frazione organica del rifiuto solido urbano (FORSU). Essa può essere destinata a digestori anaerobici per la sua trasformazione in biometano e biostabilizzato o al trattamento aerobico per la produzione di compost da utilizzare in agricoltura in vece dei fertilizzanti chimici, consentendo quindi la cattura del contenuto energetico dei rifiuti e il sequestro di CO2 e di gas a effetto serra. Secondo gli esperti, l’Italia potrebbe arrivare a produrre circa 10 miliardi di metri cubi di biogas all’anno, equivalenti a circa il 13% del fabbisogno nazionale di gas e a un terzo delle importazioni di gas russo. Con una raccolta differenziata efficiente e una FORSU depurata da altri materiali, il biogas permette di produrre circa 80–100 kWh di elettricità e 100–180 kWh di calore per tonnellata di rifiuti totali in ingresso.
Poi la plastica, da inviare agli impianti di riciclo chimico per l’estrazione dei polimeri, la scomposizione in monomeri o la conversione in idrocarburi, tutte materie di base da cui produrre nuovamente plastica.
Inoltre, metalli ferrosi, metalli non ferrosi e metalli rari come il litio delle batterie e il silicio, vetro e i c.d. Raee (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche).
Infine, il CDR o combustibile solido secondario (CSS), da destinare alla valorizzazione energetica in termovalorizzatori o, se raffinato nella sua forma più nobile del CSS-combustibile (definito anche “non rifiuto” o “end of waste”), agli impianti termoelettrici per la co-combustione insieme ai combustibili fossili e quindi la sostituzione di questi ultimi.
Gli stessi impianti di trattamento meccanico-biologico (TMB) – che separano la frazione organica da quella inorganica e combustibile – hanno senso solo se integrati in un processo che comprenda anche la raccolta differenziata e la termovalorizzazione. Ma soprattutto, una differenziata efficiente combinata con la termovalorizzazione ha l’ulteriore vantaggio di rendere obsoleti i TMB.
La modularità dei termovalorizzatori di ultima generazione consente la gradualità necessaria nel percorso di avvicinamento agli obiettivi del Pacchetto sull’economia circolare. In una prima fase, in cui la riduzione della produzione di rifiuti non sia ancora significativa ed il riuso e il riciclo non abbiano ancora raggiunto il 65% della quantità totale di rifiuti, sarà necessaria una maggiore capacità di chiusura del ciclo attraverso la termovalorizzazione. Con l’accelerazione della riduzione dei rifiuti e l’aumento della quota differenziata, alcuni moduli di termovalorizzazione potranno essere dismessi.
Le ecomafie
Non da ultimo, la lotta alle ecomafie che speculano sulla gestione dei rifiuti. La Direzione investigativa anti-mafia riporta che un sistema a “filiera lunga” basato sulle discariche e sulla logistica ad esse collegata favorisce la malavita organizzata. Per via del loro basso o nullo contenuto tecnologico, le discariche hanno un costo diretto minore di quello dei termovalorizzatori, dei digestori anaerobici e dei generatori alimentati a biometano. La loro redditività dipende solo dalla logistica e dalla connivenza tra politica e malaffare. Il trasporto dei rifiuti fuori regione è un business che vale milioni di euro ed è tanto più redditizio quanto più gli impianti di smaltimento del residuo sono distanti dal punto di origine dei rifiuti. Per questo la filiera dovrebbe essere “accorciata” e, laddove le discariche siano necessarie per depositare ciò che rimane a valle della differenziata e della termovalorizzazione, è opportuno che esse siano di proprietà pubblica.
Inoltre, la disinformazione sulle tecnologie per lo smaltimento dei rifiuti e dei loro benefici è all’origine del divario tra Nord Italia e resto d’Europa, dove i termovalorizzatori sono accettati da 20 anni e diffusi, ed il Centro e Sud Italia. Secondo Eurostat, nel 2020 nell’UE sono stati prodotti 225 milioni di tonnellate di rifiuti urbani. Di questi, il 50% è stato riciclato o trasformato in compost, il 27% incenerito ed il 23% mandato in discarica.
Secondo la Confederazione europea degli operatori di termovalorizzatori (CEWEP), nel 2018 in Europa c’erano 492 termovalorizzatori, di cui 121 in Francia, 96 in Germania e 38 in Italia. Germania, Paesi Bassi e Paesi scandinavi hanno già raggiunto l’obiettivo di riduzione della quantità di rifiuti immessi in discarica all’1% della quantità totale di rifiuti urbani prodotti. In questi Paesi il rimanente 99% dei rifiuti viene riciclato o termovalorizzato, con quote simili tra le due soluzioni. I termovalorizzatori italiani sono concentrati prevalentemente al Nord, dove sono attivi 26 impianti, mentre al Centro ve ne sono solo sei ed al Sud altri sei.
A fare leva sulla disinformazione c’è spesso la strumentalizzazione di alcuni politici, che preferiscono cavalcare la protesta dei c.d. nimby (“not in my backyard”, persone in principio favorevoli alla realizzazione di un progetto purché non sia nel proprio vicinato) piuttosto che esercitare capacità di persuasione e leadership necessarie per guidare gli eventi.
Sul fronte delle buone notizie c’è da registrare che la revisione del codice degli appalti ha, si spera, consentito di superare il problema dell’assegnazione delle gare e degli affidamenti basata solo sul massimo ribasso, criterio che spesso faceva andare deserte le gare.
Il decoro di Roma dipende anche dalla riforma costituzionale
Il decoro di Roma dipende anche, seppure non solamente, dall’esito dell’attribuzione di uno statuto speciale alla Capitale d’Italia. L’iter che dovrebbe portare alla modifica degli articoli 114, 131 e 132 della Costituzione è ancora lungo, e salvo intoppi potrebbe giungere in porto entro la fine dell’anno, quindi prima delle elezioni politiche dell’anno prossimo. Ma occorre sperare che l’approvazione della legge di riforma costituzionale non sia ostaggio di sabotaggi e trappole durante la spola tra Camera e Senato.
Gaetano Massara