(ilnardi.it) – Oggi, 23 settembre, sarebbe stato il compleanno di Paolo Rossi che avrebbe compiuto 66 anni. Dovrebbe essere ricordato come uomo emblematico dell’Italian Style, della capacità tutta italiana di leggere velocemente tra le pieghe degli eventi e fare la scelta giusto al momento opportuno.
Un comportamento simile serve alla politica praticata. Movimento in cui, pure siamo stati maestri onde poi appannarci in atteggiamenti tesi solo a dare garanzie ad alleati più forti e decisivi per la nostra sussistenza. Un atteggiamento comprensibile ma in definitiva la condizione di dipendenza ci accompagna dalla fine dell’Impero romano, eppure il modo di essere al mondo dell’esponente italico si è sempre contraddistinto per la capacità di agire cogliendo il momento decisivo. Quello che i greci chiamavano kairos – καιρός. Il momento giusto, quello opportuno, dove si prendono scelte irreversibili in grado di portare vantaggi altrimenti impensabili.
– Consiste nel pragmatismo con cui i governi della Prima Repubblica riuscivano a tenere un filo con i paesi arabi pur preservando l’alleanza atlantica. Consiste nella scelta di Matteo Renzi di allearsi col Movimento Cinque Stelle in crisi di governo con la Lega. Consiste nel coraggio di Achille Occhetto si liberarsi improvvisamente della pesante armatura comunista per un partito da decenni oramai riformista, dopo la caduta del Muro di Berlino. Ma anche di Gianfranco Fini di vestire la kippah e ammettere il nazifascismo come ”male assoluto“: lo sdoganava come possibile futuro leader nazionale –
Lo stesso deve fare il nostro paese in questa fase. Molto è stato fedele alla linea che arrivava su diverse questioni. Il rigore chiesto nell’Unione Europea, dalla Nato, ha visto gli italiani fedeli alla linea come soldatini. Ora gli esempi che ci arrivano da Ursula Van Der Leyen come da Joe Biden non ci convincono ad omaggiare questi grandi statisti.
Un esempio consiste nell’atteggiamento opportuno da tenere per arrivare alla tregua del conflitto tra Russia e Ucraina. Se non lo fa nessuno è l’Italia che deve trascinare l’Europa per chiedere una trattativa con Putin. Altrimenti aspettando i tempi degli States non si arriverà a nulla.
I cenni per ritenere che i risultati potrebbe arrivare a buon fine ci sono. Putin ha modificato il terreno di scontro militare. Il pur ridicolo referendum annunciato per il Donbass segna quantomeno la volontà di dare un taglio a bombardamenti e alle ostilità. Pur essendo improbabile la tenuta di una consultazione popolare in un’area assediata da esercito nemico, la dichiarazione deve essere letta come un’apertura.
La Cina replica cogliendo il discorso di Putin come apertura ad un’iniziativa di pace. Il capitalismo di Stato non ha alcun interesse a continuare in questa tensione mondiale. Loro debbono produrre e vendere.
E anche se il vertice di Samarcanda non ha facilitato i rapporti tra Russia e Cina dove il nemico resta l’Occidente. Questo paradigma deve cambiare.
Appare sempre più probabile che Putin sia in un cul de sac. Non è riuscito a silenziare la protesta interna, ha chiamato alla mobilitazione ed unica è stata la reazione del popolo russo. Sono i momenti in cui non si deve attendere che risolva la sua crisi con la repressione interna e un’altra negoziazione coi cinesi in cui sia ancora più subalterno. Quanti morti dovranno esserci prima di vedere Putin totalmente battuto? Non è meglio prendere l’occasione. Ora. O mai più.
L’Europa deve intervenire prima che sia troppo tardi. Tra sanzioni ed effetti diretti di effetti bellici direttamente conseguenti nelle nostre economie, bisogna farlo ora prima che sia troppo tardi. Ma anche l’Europa ha lo stesso nostro limite. Manca chi fa il gol.