Nelle ultime settimane si sono verificati alcuni eventi agli antipodi opposti dell’Europa ma che sono più collegati di quanto appaia.
Il 13 settembre le forze azere hanno rotto il cessate il fuoco in vigore dal 2020 con l’Armenia attaccando diverse città del Paese confinante. Sebbene le scaramucce siano frequenti lungo il confine tra i due Stati caucasici, questa volta si è andati vicini ad uno scontro in piena regola.
Dal crollo dell’Urss nel 1991, queste ex repubbliche sovietiche hanno combattuto due guerre per il Nagorno-Karabakh, un’enclave a maggioranza armena all’interno dell’Azerbaigian. La prima guerra si è conclusa nel 1994 con una tregua la cui linea di demarcazione ha sigillato il controllo di Yerevan sul Nagorno-Karabakh e su vaste porzioni di terra azerbaigiana, consentendo la continuità territoriale tra l’Armenia e la regione contesa.
Alla fine del 2020, l’Azerbaigian ha iniziato la seconda guerra, riprendendosi gran parte del territorio precedentemente perduto e infliggendo un’umiliante sconfitta alle truppe di Yerevan. Ciò è stato possibile grazie al forte sostegno della Turchia, che ha fornito all’Azerbaigian i temibili droni Bayraktar oltre ad assistenza militare e di intelligence.
L’attacco azerbaigiano del mese scorso sembra essere un tentativo di sferrare il colpo di grazia al nemico esausto. Anche questa volta Baku ha potuto contare sull’appoggio decisivo della Turchia.
Il 26 settembre è stata segnalata una perdita dal gasdotto Nord Stream 2 che collega la Russia alla Germania ed il giorno successivo sono state individuate altre due perdite dal gasdotto parallelo, Nord Stream 1. Sebbene il Nord Stream 2, di nuova costruzione, non sia mai entrato in funzione mentre il Nord Stream 1 era temporaneamente fuori uso per manutenzione, i due tubi avevano una capacità di 55 miliardi di metri cubi (mld mc) all’anno ciascuno.
D’altra parte il Baltic Pipe, inaugurato il 1° ottobre, che trasporterà 10 mld mc all’anno di gas norvegese in Polonia e Danimarca, consentirà all’Europa di sostituire solo una parte dei 55 mld mc di gas russo precedentemente importati attraverso il Nord Stream 1.
A prescindere da chi sia il responsabile di un atto che è ormai unanimemente riconosciuto come sabotaggio, i danni al Nord Stream così come l’eliminazione della Russia come fornitore di energia – sebbene la quota di gas russo sul totale delle importazioni europee di gas sia già diminuita a meno del 10% contro il 40% di prima dell’inizio della guerra in Ucraina – aggiunge ulteriore pressione all’Europa per trovare fornitori alternativi a Mosca.
Ecco quindi la correlazione tra la nuova crisi azero-armena e le falle al Nord Stream. Entrambi gli eventi spostano la dipendenza di gas europea da un’autocrazia, la Federazione Russa, verso altre autocrazie tra cui l’Azerbaigian. Il presidente dello Stato caucasico, Ilham Aliyev, ricopre la carica dal 2003 dopo essere succeduto al padre. Ha gradualmente modificato la postura internazionale del suo Paese, sostituendo l’influenza russa con una stretta alleanza con la Turchia.
L’Azerbaigian è una tessera fondamentale del mosaico che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha disegnato per costruire una Confederazione di Stati turanici estesa dall’Anatolia all’Asia centrale. Per dare a questo progetto una dimensione istituzionale, Erdogan ha creato l’Organizzazione degli Stati turchici, guidata da Ankara. Ma per garantire la continuità territoriale tra Turchia, Azerbaigian e Mar Caspio, è necessario che l’Armenia accetti di cedere il Corridoio di Zangezour all’Azerbaigian. Questo corridoio consentirebbe di collegare direttamente il corpus separatum azero del Nahcivan, confinante con la Turchia, con l’Azerbaigian propriamente detto.
Gli interessi di Erdogan e Aliyev coincidono. Entrambi sanno che il gas azero è sempre più importante per l’Europa. L’Azerbaigian esporta gas in Europa attraverso il gasdotto transanatolico (TANAP) che attraversa la Turchia e il gasdotto transadriatico (TAP) che approda in Puglia. Ciò offre ad Ankara la possibilità di usare il suo gasdotto come arma di ricatto nei confronti dell’Europa, la quale non è in grado di bloccare le azioni ostili di Baku e Ankara contro l’Armenia. Le tiepide reazioni di Bruxelles e delle altre capitali europee all’attacco dell’Azerbaigian contro l’Armenia del mese scorso lo confermano.
A seguito dell’attacco russo all’Ucraina e delle sanzioni occidentali contro Mosca, i leader europei hanno intensificato i loro sforzi diplomatici per concludere contratti di fornitura di gas con nuovi fornitori o aumentare le quantità di gas acquistato da quelli attuali. Uno di questi sforzi ha portato alla visita di Aliyev a Roma il mese scorso, dove si è impegnato ad aumentare la quantità di gas che fornisce all’Italia attraverso il TAP da 8,1 mld mc nel 2021 a 12 mld mc entro la fine di quest’anno.
Il vertice italiano è stato preceduto dalla visita a Baku della Presidente della CE Ursula von der Leyen che ha firmato un memorandum d’intesa con Aliyev in base al quale l’Azerbaigian si impegna ad aumentare la propria fornitura di gas attraverso TAP a 20 mld mc entro il 2027.
In un’altra prova di forza per sfruttare l’attuale situazione geopolitica a proprio vantaggio, il 3 ottobre la Turchia ha firmato un protocollo d’intesa per l’esplorazione di idrocarburi nelle acque territoriali e nel territorio libici. Questo protocollo è il seguito dell’accordo turco-libico firmato nel novembre 2019 con il quale Ankara e Tripoli hanno esteso le rispettive zone economiche esclusive (ZEE) fino al punto di confinare l’una con l’altra.
L’accordo del 2019 ha sollevato aspre proteste da parte della Grecia la cui ZEE, in caso di riconoscimento della ZEE rivendicata da Ankara, verrebbe ridotta e tagliata in due da quella turca. D’altra parte, la Turchia non è firmataria della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare per cui si permette di agire in contrasto alle regole sul diritto del mare comunemente accettate. Dopo il primo accordo turco-libico, la Francia si è schierata saldamente al fianco della Grecia tanto da concludere con Atene un accordo di mutua difesa. In occasione di questo secondo accordo, anche l’UE ha avuto una reazione di severa condanna della condotta turca.
Cipro è l’epicentro dell’instabilità che attraversa la regione del Mediterraneo orientale. La Repubblica di Cipro è l’unico Stato dell’isola riconosciuto dalla comunità internazionale ed è membro dell’Ue. La porzione settentrionale dell’isola è occupata illegalmente dalla Turchia dal 1974 attraverso lo Stato fantoccio della Repubblica turca di Cipro del Nord. Intervenendo al Forum di Cipro del 30 settembre, la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola ha affermato che “l’Europa non può essere veramente unita finché Cipro rimane divisa” e che ” l’unica via da seguire è avere un unico Stato europeo sovrano, una federazione bicomunale e bizonale, in conformità con le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU”. La posizione della Turchia, invece, avanzata sia da Erdogan che dal leader turco-cipriota Ersin Tatar, è che sull’isola non può più esserci una struttura federale, che devono continuare i negoziati per una soluzione basata su due Stati con parità di diritti e che la comunità internazionale deve riconoscere la Repubblica turca di Cipro del Nord.
L’accordo del 2019 con la Libia è la pietra angolare della strategia mediterranea della Turchia. La quale ha come fondamento teorico la dottrina della Patria blu, per cui la Turchia ha il diritto di rivendicare la sovranità sul suo spazio vitale liquido nell’Egeo, nel Mediterraneo e nel Mar Nero. Il confine marittimo diretto con la Libia consentirebbe ad Ankara di garantirsi l’accesso al Nord Africa. Da qui la Turchia ha già iniziato la sua espansione attraverso i Paesi dell’Africa orientale verso il porto di Mogadiscio, da dove ambisce a ricollegarsi con il Pakistan e il mondo turanico attraverso l’Oceano Indiano. Allo stesso modo, si sta espandendo verso Ovest per raggiungere il Golfo di Guinea.
La postura aggressiva della Turchia e i suoi ammiccamenti a Russia, Cina, Iran ed Organizzazione per la cooperazione di Shanghai rendono Ankara un partner poco affidabile agli occhi dell’Occidente. D’altra parte, le vulnerabilità dell’Europa in materia di energia e immigrazione rendono più agevole per autocrati e dittatori imporre le proprie agende.
Trovare compromessi tra ambizioni divergenti nella regione mediterranea richiede un approccio inclusivo e cooperativo che consenta a tutti i partner di ottenere vantaggi economici, sociali e politici. Occorrono meccanismi di cooperazione tra le sponde settentrionale, meridionale e orientale del Medioceano. L’Unione per il Mediterraneo ha perso slancio. Questo sarebbe il momento di rilanciarla o di trovare forme alternative di cooperazione regionale. Un Comunità politica del Mediterraneo sulla falsariga della Comunità politica europea che ha esordito il 6 ottobre a Praga potrebbe essere un forum agile di dialogo e cooperazione. I leader dei Paesi mediterranei lo capiranno?
Gaetano Massara