AGI – Donald Trump è tornato su Twitter. “Vox Populi, Vox Dei”, annuncia Elon Musk. Anche se Trump non vorrebbe, ma chissà per quanto tempo potrà resistere alla tentazione. Vox Twitter, Vox Dei: torna nella piattaforma, come annunciato da Musk e lo fa 680 giorni dopo l’ultimo post, scritto prima che il suo account venisse sospeso e poi bloccato in via definitiva.
@realDonaldTrump è di nuovo in rete, visibile a tutti, con zero account seguiti e, prima che cominciasse la seconda vita, 1,3 milioni di follower, gli irriducibili rimasti degli oltre settanta milioni che lo avevano seguito fino all’8 gennaio 2021.
È bastato che Musk annunciasse la riapertura dell’account, perché quell’1,3 milioni di fedelissimi crescesse di un altro milione nel giro di mezz’ora. Tutto questo accade in modo frenetico, dopo il sondaggio che Musk aveva lanciato tra gli utenti, a cui aveva chiesto venerdì se Trump sarebbe dovuto rientrare.
La consultazione social, che durava ventiquattr’ore e si è chiusa oggi, è stata visualizzata, secondo Musk, da più di 130 milioni di utenti e votata da più di 15 milioni. Di questi il 51,9% ha detto sì. “Il popolo si è espresso”, ha sentenziato Musk. “L’ex presidente Trump viene riammesso”. “Vox Populi, Vox Dei”, ha concluso.
Cosa possa significare all’atto pratico non è chiaro: tornerà? Ne resterà lontano, mentre il numero dei follower continua a crescere in modo vertiginoso? Man mano che passano i minuti, infatti, sono già saliti a 2,7 milioni. Se si considera che questa storia coinvolge il pù grande ‘trollatore’ dei social, Musk, e il più grande ‘trollatore’ della politica, Trump, tutto è possibile.
Il tycoon nelle ore precedenti alla riammissione aveva ribadito che non sarebbe tornato. Aveva ringraziato Musk per l’iniziativa, ma gli aveva anche rifilato un colpo basso: “Non ho intenzione di tornare – aveva dichiarato, intervenendo in video a un evento degli ebrei repubblicani – Twitter è pieno di problemi, ha un sacco di account fake e bot”.
Poi sulla sua piattaforma privata, Truth, aveva ribadito il concetto: “Votate pure, ma noi non andremo da nessuna parte. Truth è speciale”. Forse l’endorsement di Musk a Ron DeSantis non è piaciuto al tycoon. Dunque, viva Truth, anche se con un grosso punto interrogativo: la piattaforma trumpiana non regge il confronto.
I suoi post arrivano nelle redazioni con un’ora di ritardo, mentre ai tempi d’oro di Twitter avrebbe fatto fermare le redazioni dopo pochi secondi. Con la candidatura ufficiale alle presidenziali 2024 tornare sulla piattaforma seguita da tutti i leader del mondo e dall’elite finanziaria, economica e politica, è un richiamo molto potente, troppo potente, quasi necessario.
“Benvenuto @realDonaldTrump”, ha twittato il profilo dei Repubblicani della commissione Giustizia della Camera, quella che lanciò due volte l’impeachment all’ex presidente.
“Il 2023 – ha aggiunto il rappresentante del Texas, Troy Nehls – sarà un grande anno. E il 2024 sarà ancora migliore”. Paul Gosar, dell’Arizona, ha scritto: “È tornato”. “Sono disgustato”, ha invece commentato il democratico dell’Oregon, Jeff Merkley. Derrick Johnson, presidente del Naacp, l’organizzazione in difesa degli afroamericani, ha chiesto agli inserzionisti di lasciare il social: “Nella Twittersfera di Musk puoi incitare un’insurrezione a Capitol Hill che ha portato a numerosi morti e avere ancora la possibilità di propagare messaggi d’odio e complottisti. Ogni inserzionista che finanzia Twitter dovrebbe sospendere immediatamente le campagne pubblicitarie”.
Trump sa che se digita sul suo cellulare può di nuovo riaprire il suo account. Può darsi che l’abbia già fatto. Il vecchio account è di nuovo lì, a portata di clic, aperto, con la foto del suo volto corrucciato e sullo sfondo l’immagine di un raduno in Pennsylvania dei sostenitori del movimento Maga, Make America Great Again.
È come se Trump si trovasse nella situazione di scostare la tenda della finestra papale e osservare piazza San Pietro che si va riempiendo. Alla fine si affaccerà? Un solo messaggio scatenerebbe i sostenitori e farebbe esplodere la rete. È quello che, in fondo, cerca Musk: attenzione globale e interazioni, ma anche la sua è una scelta che rappresenta un bivio.
Se Trump tornerà a twittare, decine di grandi aziende lasceranno il social, perché non vogliono unire il proprio brand a una piattaforma che appare sempre più senza controllo. La politica di censurare i messaggi d’odio ne uscirebbe indebolita.
Se Trump è davanti al bivio, Twitter è vicino al baratro: da quando, il 27 ottobre, Musk ha acquistato la piattaforma, migliaia di persone hanno abbandonato i loro profili, gli inserzionisti hanno lasciato, il servizio è andato in confusione. Migliaia di dipendenti sono stati licenziati, un altro migliaio se n’è andato di propria volontà, tutto l’apparato che gestiva la sicurezza dei dati di milioni di utenti è stato smantellato, cominciano a emergere problemi tecnici, e altri potrebbero scattare già dalle prossime ore con l’avvio della Coppa del Mondo, l’evento più importante del pianeta che moltiplicherà le interazioni.
Con il personale ridotto all’osso, il rischio che tutto vada in tilt è concreto, così come quello che possano nascere account ‘verificati’ con la spunta blu con scritto Donald Trump: basta pagare otto dollari al mese in abbonamento per ottenere la spunta che divide gli account ufficiali di personaggi famosi dai peones della rete.
Lo stesso sistema che nei giorni scorsi ha portato alla nascita di un profilo falso di George W. Bush che confessava quanto gli mancasse uccidere gli iracheni, e un finto Tony Blair, ma con spunta blu, che commentava: “Anche a me”.
Il @realDonaldTrump è al momento unico e sta crescendo ancora. Adesso i follower sono più di tre milioni. Trump è tornato, comincia la Coppa del Mondo, e il server potrebbe schiantarsi. Musk è convinto che questo sarà il momento di svolta, ma non dice in che senso.