Dopo mesi di repressione si passa ad un’altra fase. Sempre della repressione ma su un altro piano. Non si manganella in strada, non ci sono fermi di polizia. Non ci sono manifestazioni eclatanti che creano scompiglio anche nell’immagine pubblica dell’Iran nel mondo. I metodi si fanno più sottili.
Tra questi c’è l’impossibilità di accedere ai propri risparmi in banca. Del resto, quale modo migliore per frustrare le volontà di autonomia di una persona? Impedirgli di avere accesso ai suoi stessi soldi. Ed è questo che si intende fare verso le donne che protestano. L’annuncio l’ha dato Hossein Jalali.
Jalali fa parte della commissione Cultura del parlamento iraniano. La notizia per cui in Iran i conti bancari delle donne saranno bloccati per le donne che non portano il velo è stata pubblicata nel quotidiano riformista Shargh e diffusa da noi attraverso l’Ansa e riportato dalla Bbc persiana.
Si tratta di mettere nero su bianco su provvedimenti che servono a reprimere il movimento di protesta che da tre mesi vede le donne rifiutare il velo come atto simbolico della repressione in Iran. Indossarlo è un obbligo dal 1979 nella Repubblica Islamica. È stato decretato alla sua fondazione.
La misura deve essere stata pensata come alternativa alla pena difficilmente comminabile, date le proporzioni sociali che sta assumendo la protesta.
Nell’impostazione legislativa del regime iraniano si tratta di una serie di misure volte a preservare lo stato di cose. Sarà una sorta di alternativa pragmatica alle “pattuglie della polizia morale”.
La prima avvertenza sarà un messaggio recapitato al telefonino in cui le si informa che la donna è stata avvistata come renitente al velo. Di qui il passaggio alle misure coercitive. Nell’affermazione di voler tener saldi i principi della repubblica islamica, Jalali ritiene la misura del velo alle donne come una parte integrante della Repubblica Islamica.