Chi scrive non ha mai avuto il vizio del fumo e non intende cominciare adesso. Nondimeno la decretazione con la quale si vorrebbe arrivare a una nuova normativa contro il fumo evidenzia l’ostinazione di certo ordine costituito nei confronti delle tossico-dipendenze. La ragione è che la sigaretta elettronica in quanto ancora non garantirebbe livelli di non tossicità, quindi un’alternativa salutista alla sigaretta.
Quindi l’attenzione di queste seicento menti ispirate dovrebbe discutere ora sul normare un comportamento usuale per una parte della popolazione.
Non è come ha detto Massimo Fini su Il Fatto Quotidiano oggi con il suo pezzo in cui dice: “Abbiamo smesso di vivere per paura della morte”. Qui non c’è la fine della vita come aspetto di una continua rimozione. Molto più brutalmente il tentativo di recuperare terreno nei confronti dei produttori di sigaretta che hanno visto arretrare qualche posizione in virtù dell’affermarsi di queste trovate tecnologiche che fanno fumo inodore. E non è importante scoprire un domani la loro tossicità. Importante per i legislatori, senza ruolo, senza cultura di governo, senza idea di cambiamento, entrare nei comportamenti delle persone per renderli redimibili.
Un semplice comportamento condiviso da molti sottende diverse questioni apicali nell’ideologia dei nostri tempi. C’è infatti il diritto di autodeterminarsi e in contempo di non praticarli nuocendo gli altri. Ma sullo sfondo c’è il continuo tema della rimozione della morte come presenza nella vita.
La vicenda del Covid ha accentuato i termini di questo dibattito dividendo tra apocalittici e integrati. Davanti l’emergenza erano inevitabili si accentuassero le divaricazioni senza risolversi. Ma oggi, invece di affrontare una discussione sui limiti di legiferare entro comparti più consuetudinari della ordinaria esistenza, il legislatore si pone come censore. (Magari emettendo qualche tagliola, come, ad esempio, l’aumento delle pene per gli scafisti senza preoccuparsi di vedere come risolvere questo problema).
Senza ridurre la portata dannosa del fumo che, secondo i report statistico-medici, solo nel nostro paese procura settantamila decessi. Ma si conviene che intervenire con decretazione di urgenza con divieti ferrei non procurerebbe alcun rimedio.
Se giustamente non si interviene in senso repressivo sul comportamento totale non si capisce bene come si potrebbe adoperare dei correttivi suppletivi ostacolandone l’accesso. Se veramente si ritiene il fumo come male del mondo e in contempo se ne ritiene impossibile la repressione totale, sono tanto più improbabili forme di scoraggiamento delle vie di accesso. Dobbiamo accettare che il fumo vive tra noi e ci aiuta a non vedere i contorni precisi delle cose che sono. Perché sarebbe una presa di coscienza ancora più dolorosa. In questo senso l’espressione “fumo” ben si attaglia a spiegare altre dimensioni di appannamento consapevoli adottate dagli umani. Perché il resto significherebbe “essere per la morte”, “vacuità”, “transitorietà”, “cupio dissolvi”…
Si spiega allora come Marcello Mastroianni risponde al mago che vorrebbe togliergli il vizio del fumo: “se ci riesce gli faccio causa” (nel film L’Intervista). Perché nel fumo vivono i protagonisti del film, così come ciascuno di noi.