I duelli all’ultima invettiva coinvolgono sempre l’attenzione dei lettori. Non poteva essere diversamente anche tra Calenda e Renzi. Il primo continua a arpionare il secondo a colpi di twitt. Arma micidiale! Qualche giorno fa il Corriere avendo riportato una dichiarazione di Renzi su Calenda aveva trascritto che il leader di Azione probabilmente aveva sbagliato pilloline – giocando così su una umoristica crisi di nervi. Calenda mena. Va sull’invettiva personale. Renzi, più micidiale: irride.
Botte da orbi che lasciano interdetti gli accoliti e divertono, coram populo, i consumatori altrimenti annoiati dalle notizie. Quindi la nozione centrale da elaborare consiste nel fatto che Azione e Italia Viva hanno rescisso la loro promessa di unione. Quindi il partito dei liberal democratici non si fa più. Ciascuno corre per conto proprio.
E in fondo non sarebbe una grande novità per le vicende italiane in cui la dialettica politica ha sempre portato al frazionismo e più raramente alla creazione di nuove alleanze. Ma stavolta la posta in gioco è l’esistenza reale. Carlo Calenda e Matteo Renzi come persone possono anche giocare. Una loro visibilità ancora ce l’hanno. Troveranno sempre un cronista che gli porge il microfono sotto il mento. Diverso, assai diverso, però è per la loro ciurma. Gli aspiranti deputati o quelli che ne vogliono continuare la carriera debbono trovare una casa più rassicurante per garantirsi questo lavoro con i relativi introiti. Che faranno i ventuno deputati di Azione e Italia Viva se, alla fine di questo corso parlamentare, non dovessero trovare una casa ad accoglierli? Tra questi, i voti veri non ce li ha nessuno. Ciascuno ha bisogno di un contenitore credibile, di una proposta vincente, di un modello di partito sul quale poter garantire di continuare a dire la propria. Ma questa nave sembra non esserci più. E tra un anno ci sono le elezioni europee. Cosa farà la cultura liberal democratica e riformista se non ha una casa? E questa non può trovarla nei neo-massimalisti dei Cinque stelle né tantomeno nel PD di Elly Shlein che promuove i suoi ‘campesinos’ alla segreteria.
Si dovrà per forza trovare una soluzione. Indipendentemente dall’inquietudine dei due.
A Bruxelles e Strasburgo andranno settantatré parlamentari italiani che verranno selezionati attraverso il sistema proporzionale puro. Quindi i cittadini dovranno scrivere nome e cognome della persona che vorrebbero sugli scranni della camera rappresentativa dell’Unione. Divisi nelle cinque circoscrizioni, per passare ci sarà bisogno di raggiungere la soglia di sbarramento del quattro per cento. L’attuale otto per cento di quello che era i progetto di partito Azione più Italia Viva non si divide a metà se non sussiste un progetto credibile.
In più secondo i sondaggi è in declino quella che è stata battezzata come “maggioranza Ursula”, inclusiva del centro, popolari più riformisti.
La questione del nuovo partito riformista, quindi, diventa il problema che risuona in tutta Europa. Anche perché non si può lasciare la cultura di governo centrista che guarda moderatamente a sinistra, quella che da sempre governa l’Europa, alle cure italiane dei due più grandi partiti. Il soggetto politico dei liberal democratici italiani sarà il problema di tutti. Compresi i francesi che troveranno gli epigoni di Macron in disarmo.
E allora servirà, e tanto, la capacità di Renzi di stare in mezzo a grandi imprese che fanno lobbing. Servirà una vasta operazione di ricostruzione. Servirà l’apparenza di fondazione di un partito dalla base sociale per poi salire alla delineazione di una classe dirigente. Serviranno varie operazioni di teatro per dimostrare che il soggetto liberal democratico esiste e può ancora dare le carte. (…). Altrimenti che gli facciamo fare ad Ursula?