“Il Pil italiano è atteso in crescita sia nel 2023 (+1,2%) sia nel 2024 (+1,1%), seppur in rallentamento rispetto al 2022” – Lo rileva l’Istat.
“L’Italia dovrebbe registrare una “crescita modesta” nel 2023 e 2024, con il Pil che rallenterà dal 3,8% del 2022 all’1,2% quest’anno e all’1% il prossimo2 – Lo scrive l’Ocse nell’Economic Outlook.
Sembrano numerini, minimali differenze l’uno dall’altro, ma indicano una valanga di ricchezza diversamente ripartita. Contraddicono e dicono cose completamente diverse sulle nostre prospettive attuali. Dati che si prestano a interpretazioni completamente diverse. Ma se cominciassimo a dubitare fortemente di queste previsioni? E se andassimo a vedere parametri e modalità con le quali si arriva a queste stime?
Ma se volessimo gettare la maschera degli analisti – emblema dell’età della tecnica – c’è da chiedersi innanzitutto a cosa servano queste proiezioni. Che senso ha dire che in base ai dati oggi si crescerà in un dato modo? L’economia reale ha bisogno di questa sorta di oroscopo per dare pillole di ottimismo? Oppure per ammonire su un immediato avvenire declinante?
E allora le repliche saranno di due tipi. Da una parte il fatto che veniamo da una fase di regresso determinato dalla pandemia. Dall’altro che Francia e Germania hanno avuto la previsione di incremento minore, ma a fronte di una condizione del tutto diversa. E così dare fiato al circo dei commentatori.
Ci si mette anche Confcommercio. Sempre in questa giornata, Confcommercio si ripete: per il 2023 il Pil in crescita dell’1,2%, i consumi dell’1% ed un lieve miglioramento nel 2024 (Pil +1,3%, consumi +1,1%). Anche in questo caso queste difformità apparentemente minimali indicano invece la delusione di tante famiglie o il ridimensionamento di tante aspettative di operatori economici reali. Numeri che non possono dare una raffigurazione concreta di quel che siamo oggi e di dove siamo diretti. Sempre secondo Confcommercio la nostra fase somiglia a quella prepandemica: ”da tutti stigmatizzate come insufficienti a garantire uno sviluppo equilibrato e diffuso del benessere economico della nazione”.
Ma i dati eloquenti da cui muovere un’azione sullo stato di cose presenti guardano la nostra oggettiva condizione che è data dalle evidenze e non dai numeri.
Sempre oggi Ernesto Galli della Loggia dà invece una descrizione del paese in cui si affida a reali esemplificazioni. Ciascuna però rende eloquente lo stato delle cose. Sono fatti. Si evidenzia infatti sui dati chiari e perspicui. Cioè come avvenga che l’Italia in Europa abbia più laureati solo della Romania, che sia un paese dove nascono sempre meno figli, dove le grandi imprese tendono a delocalizzare, dove c’è un’emergenza sanitaria permanente, dove il proprio territorio frana e ogni sei mesi ci si trova davanti una calamità naturale, dove la rappresentanza espressa nel sistema democratico coinvolge solo la metà del paese, dove appare oramai come insanabile il contrasto tra pilastri dello Stato, dove il decentramento dei poteri nei territori ha determinato solo fughe in avanti e avamposti di potere inamovibili mancando alla missione della capacità di intervenire con gradi di conoscenza specifici, dove il tormentone dell’arretratezza delle proprie infrastrutture non ha mosso la capacità di saper operare in tempi utili sulle opere pubbliche, dove il conflitto è permanente senza il coraggio di saper almeno tematizzare il disagio.
È questo il quadro di oggi. E sicuramente anche quello di domani e dopo domani. E non saranno i numeri a indurre iniezioni di positività.