Detti e contraddetti. La comunicazione sembra facile e intuitiva. Ma si debbono sempre ponderare le possibili conseguenze di quel che si dice.
Il tema consiste nell’eterna questione della tassa illiberale sugli extraprofitti bancari. Il consiglio dei ministri lunedì sera ne accenna l’introduzione. Il giorno dopo in una seduta se ne vanno 8,65 miliardi di euro al settore quotato a Piazza Affari.
Secondo gli esperti si poteva ottenere meglio e senza danni tassando del quaranta per cento la crescita dei loro proventi ottenuti attraverso banali rialzi.
Tutto nasce dalla conferenza stampa celebrata ieri l’altro dal governo della repubblica dove si annunciano misure dirette alle banche. Senza fare nomi per non agevolare il male al peggio, si tratta degli istituti quotati in Borsa e con un peso oltre che una storia.
Oggi, l’inevitabile. I titoli bancari crollano. La perdita di valore si stima per nove miliardi di euro.
Ancora ieri l’altro il Ministero dell’Economia annunciava un tetto massimo nella misura dove si prevedeva l’incasso massimo a circa 2,5 miliardi. Difficile vedere ora come tentare un’operazione di recupero. Ed è lavoro degli operatori finanziari, non certo dei manovratori di Palazzo. Solo che nelle forme di governo si dovrebbe superare la logica arcaica incentrata su meccanismi del tipo: stimolo-risposta oppure punizione-ravvedimento.
Quando si opera nel mare magnum dell’economia, specialmente quella finanziaria, ogni atto ha una conseguenza e non sempre ci pensa il mercato ad assorbirla. Si tratta di informazioni che hanno un riflesso sulla ricchezza generale della nazione.