Difficile riconoscerne il vero significato che può essere declinabile in diversi modi. In Italia è stato deciso questo giorno, ma dal 1998, oltre al nostro paese, Canada, Australia, Nigeria, Emirati Arabi, Singapore, India, hanno deciso di consacrare questo valore.
Ma la sfuggevolezza della sua significazione non sta solo nella declinazione comportamentale. Si avvicina più al garbo, alle semplici buone maniere oppure consiste in vero riconoscimento rispettoso e consapevole dell’altro? Ma in entrambe dei casi le differenze riposerebbero tutte nella formalità.
Ci si chiede invece se la gentilezza sia attributo o sostanza. Nel primo caso si porrebbe solo come involucro a un mondo che di fatto rimane inalterato. Magari il tentativo sarebbe quello di riformarlo ma partendo dai comportamenti più esteriori nel tentativo contagino quelli diretti, provocati dalla prima intenzionalità.
In un mondo devastato da due guerre ci si chiede quale ruolo possa avere la gentilezza come valore predicato universalmente. E chiaramente non ne ha nessuno. Ma esiste anche un movimento internazionale teso a rilanciarla e affermarla come pratica diffusa.
Ma il problema risuona parte dalla sua stessa definizione e dalla collocazione nel mondo dei significati. Ma se si proponesse una tesi sostanzialista, cioè si volesse che la gentilezza fosse una vera e propria categoria mentale, non ci sarebbe il rischio di porla in modo vincolante e così assai poco gentile? Non sarebbe una imposizione in grado di laccare le pulsioni dei comportamenti ovattando quella che è la naturale spinta di ciascuno. Non si arriverebbe, se affermata universalmente, a un mondo oppiaceo in cui nella cortesia non sussiste nessuna differenza? Sarebbe un risultato opposto e uguale alla differenza dal mondo in cui vuole consistere la gentilezza. Un’affermazione autoritaria e irruente ad un mondo che già lo era in origine. E sarebbe diversa una dittatura gentile, ma pur sempre una dittatura in grado di obbligare a comportamenti specifici, da una dittatura brutale? La prima si porrebbe come tale. La seconda dovrebbe esser scoperta.
Scopriamo quindi che la gentilezza potrebbe essere un disvalore se non accompagnata dagli altri comportamenti tipici del mondo. Ma scopriamo anche che la gentilezza per sussistere ha bisogno degli altri comportamenti assai poco gentili. Quindi nel suo stesso affermarsi ha bisogno dell’altro. Quel che attesta e valorizza – l’esistenza dell’altro, il suo riconoscimento, il ringraziamento per il suo Esserci – rappresenta il suo vero modo di essere. La gentilezza non esiste senza la differenza. Ed è questo il valore.