Tutti al commento, tutti sapevano, in molti ritengono che già si sapeva. E il gioco tipo è nel dare discredito a ciò che non si è raggiunto. Esemplificativo il sillogismo insito in un twitt di Carlo Calenda – Se preferiscono altro da Roma è perché sono corrotti – Hanno preferito Riad – Sono corrotti.
In genere commuove e sorprende lo psicodramma attivato dopo la preferenza a Riad nella selezione delle tre proposte per ospitare Expo 2030. Guardando i numeri della prima votazione, emerge il fatto che Roma non è mai stata in gara. Le altre due erano da contorno. Riad era nascostamente designata in partenza. Questo è successo. Ma se ciò era noto, e doveva essere noto a chi fa per mestiere fa il competitor internazionale, sarebbe stato molto più dignitoso astenersi dalla competizione, tale solo in apparenza.
Ma ciascuno ha il suo colpevole. A sinistra si accusa la destra di poca partecipazione alla competizione ( Meloni non si è impegnata come invece si impegnò Renzi per ottenere Milano perché della vittoria avrebbe goduto un sindaco di sinistra ). A destra si accusa l’amministrazione comunale di Gualtieri di non saper fare marketing internazionale e di avere mentalità provinciale.
In psicoanalisi un’occasione come questa è quella giusta per capire tanti problemi presenti nella persona (paragonabile per fragilità al nostro ‘non-sistema-paese’). L’incapacità di trovare soddisfazione dalle sue attività va diversamente esplorata, invece. E invece troppi protagonisti della scena avrebbero bisogno dello psicoanalista perché sono i primi a mettersi sull’uditorio per dire: “è colpa dell’altro”.
La versione main stream consiste nel fatto che la realtà saudita è governata dalla corruzione e attraverso la corruzione si fa strada nel mondo. Ed è un tema ripetuto. Non poteva mancare il nostro Carlo Calenda che noi stimiamo e a cui vogliamo bene per il contributo di lucidità offerto al dibattito. In questa occasione ha dato il meglio di sé. In un twitt infatti dice espressamente:
“Perdere Expo è un grande peccato, per Roma e per Expo. Ma ci obbliga a una riflessione più ampia: se il valore della città che si candida non ha alcun peso, se tutto ha un prezzo, quale è il senso dell’Expo?”
Ed è come il lamento dello sfigato distruttivo verso chi non lo ha invitato alla festa. Se prevale la logica mercantile, se i sauditi fanno prevalgono coi mezzi commerciali, se questo si sa, perché non si è rinunciato alla gara? Scegliendo di volerci partecipare si è riconosciuta la sua importanza. Stare fino alla finale a tre significa che si credeva in questa competizione. Ora che si è usciti con le ossa rotte appare ancor più da perdente parlarne male.
Ma l’analisi autocritica di Roma – salvando eventuali e sconosciuti errori nell’ interloquire e convincere – deve partire da due dati di fatto: primo, l’Europa non ha fatto sistema, anche i francesi si sono defilati per preferire Riad, Roma è andata peggio di quello che doveva essere una proposta cuscinetto: Busan. La seconda analisi deve vedere al fatto che il ‘non-sistema-paese’ non ha fatto quadrato su Roma. Diversamente da quanto è successo per Milano, non c’è stato il coinvolgimento diretto dei governi che si sono succeduti, non ci sono stati pronunciamenti di altri sindaci, di altri governatori, solo per dire che il nome di una città era il nome di un marchio che rappresentava voglia di innovazione e capacità di fare impresa per il progresso.
Questi due fattori non sono scattati. Tutti quanti, Calenda compreso, debbono chiedersi perché e trovare una risposta.