Ben oltre l’omicidio di Giulia Cecchettin la naturale ricerca sui perché è sprofondata su questioni relative alla società intesa in senso estensivo. Tutti hanno avuto percezione della grande questione relativa al cosiddetto “patriarcato”. Un stilema lessicale restaurato per essere proposto come grande causa del male recepito e come modo di rivivere un senso di colpa ingenerato da una vicenda sulla quale nessuno poteva fare alcunché perché non avesse l’esito conosciuto.
Di nuovo, ben oltre l’episodio efferato, il suo dibattito ci fa conoscere lo stato della nostra intellettualità e il grado di confusione in cui versano le grandi menti illuminate e per tanto intervistate. Una è ad un filosofo che ha abitato la sinistra, Massimo Cacciari. L’altra ad un altro intellettuale che ha calcato i dibattiti della destra, Marcello Veneziani. Sono pubblicate su La Verità.
Sia da sinistra che da destra, a grandi radici dalle quali si è generato il dramma, si ravvisano problematiche se non identiche molto vicine. Secondo Cacciari è venuto meno il modello della famiglia. (cancellato il patriarcato non esiste un modello sostitutivo, siamo in fase di piena crisi come è l’Occidente e l’unica speranza sta nella nuova delineazione del ruolo della donna). Secondo Marcello Veneziani è caduta invece proprio la configurazione sociale e umana del maschile facendo così cadere in prescrizione la famiglia come progetto esistenziale, con il potenziale educativo e formativo permanente un tempo conservato. Gli effetti, secondo Veneziani, si vedono in una Chiesa oramai diventata nomade, dove un Papa si muove come un influencer, e si è perso il significato del carisma. La metafisica di Cacciari invece ravvisa la responsabilità delle due guerre mondiali nel maschio europeo.
Si tratta di paginate di argomentazioni fortemente sintetizzate. Non si fa torto ai due maestri però se li si invita a leggere (o rileggere, certamente!) l’opera di un grande maestro, vieppiù dimenticato. Si tratta di Guglielmo Ockham che davanti alle argomentazioni di tipo universalistico poneva il suo famosissimo e figurato “rasoio”. Semplicemente le aboliva.
Il riferimento al Venerabilis Inceptor vuole avere il sapore umoristico, chiaramente. Il grande francescano però ci ha lasciato un grande insegnamento nella discussione teologica sulle modalità di conoscere Dio e la sua volontà nella creazione. Secondo Ockham questa era determinata da volontà, pura e semplice. L’umano non poteva entrare nel suo intelletto perché non ne aveva la capacità, quindi, sempre per l’umano, non ne sussisteva l’esistenza reale. Su questa china invigilava i suoi coevi del quattordicesimo secolo a non adottare argomentazioni universalistiche tese a delineare dei grandi perché mancanti di corpo, di indicazione effettiva, di qualcosa materialmente identificabile.
Cosa ci insegnano i grandi autori citati quando parlando delle grandi ragioni di un caso specifico? Una condizione quella di Giulia e del suo omicida non inquadrabile nella classifica general generica di “femminicidio” perché significherebbe generalizzare confondendo l’azione con il motivo per cui è compiuta. “Famiglia”, “maschio”, “idea di maschio o di persona”, come possono essere inquadrabili in un linguaggio per cui parlandone non si arriverebbe a fraintendimenti? E sono gli stessi fraintendimenti che scattano da maschio e femmina? Si vogliono cose diverse ma ci si confonde perché a queste vengono date lo stesso nome? E se il problema fosse linguistico?