Si annunciano dismissioni in grandi comparti aziendali posseduti dalla mano pubblica. Giorgia Meloni non nasconde di voler far presto. Obiettivo 2026. E per arrivare a dama si deve cominciare da subito al di là delle petizioni di principio. Bisogna cedere venti miliardi di asset.
Si tratta di una tela di Penelope nella storia del nostro paese. Aveva iniziato Gentiloni con l’immissione in borsa di Poste Italiane. Questo solo per dire che le privatizzazioni non sono di sinistra né di destra. Sono un passaggio obbligato per rientrare un poco nel debito pubblico. In quel tempo si ritevena che Eni conoscesse la stessa procedura. Ma di mezzo ci sono stati il governo demagogico dei Cinque Stelle e l’emergenza pandemia che ha un po’ bloccato ogni operatività.
Meloni annuncia di riprendere il lavoro usato dai diversi governi e sospeso per questioni forza maggiore. Ma è anche vero che le testimonianze delle iniziative intraprese non incoraggiano il privato ad investimenti produttivi. Poste è ferma a dieci. Stiamo a vedere come procederà il prossimo step di cui abbiamo accennato. Anche la quotazione di Eni è tornata alla condizione antecedente alla pandemia.
Più dello storico quesito: Che Fare? Ci si chiede insistentemente: Come Fare?
Giorgia Meloni insiste sul fatto che il controllo centrale, però, deve rimanere di Stato. Ed è forse proprio questo lo stato dello stallo. Senza garanzie di piena libertà di acquisizione, controllo e scalabilità, non c’è privato che possa seriamente essere interessato a investimenti sostanziali.