Stellantis clamorosa. Come Fiat da cui prende le spoglie continua il gioco nei confronti della mano pubblica. Si chiedono indirettamente risorse e sostegno ad un’impresa di cui il mercato ha decretato la decozione. Ma se finora, dopo malcontenti e mal di pancia, il sostegno da parte dei vari governi che si sono succeduti è sempre arrivato, stavolta il ministro delle imprese Adolfo Urso vuole mettere i puntini sulle “i”. Sul Sole 24 Ore ha rilasciato la dichiarazione per cui “Se Tavares o altri ritengono che l’Italia debba fare come la Francia, che recentemente ha aumentato il proprio capitale sociale all’interno dell’azionariato di Stellantis, ce lo chiedano. Se vogliono una partecipazione attiva possiamo sempre discuterne”.
Tutto nasce dalla critica di Carlo Tavares, ceo di Stellantis, per cui l’Italia non riconosce sussidi per l’acquisto di veicoli elettrici. Sempre Urso risponde che Stellantis dallo Stato italiano ha ricevuto incentivi che nel 2022 sono andati all’ottanta per cento all’estero. I veicoli prodotti sono poi arrivati in Italia attraverso l’importazione. Ma il gioco delle tre carte per cui si lascia coperta la carta vincente che è sempre quella del banco tenuto da Stellantis deve finire.
Lo spettro che Stellantis agita è sempre quello della conseguente disoccupazione. Si parla quindi di Mirafiori , dove si realizzano le Cinquecento elettriche, di Pomigliano che è la realtà industriale dove si avverte maggiormente il mancato recapito degli incentivi per la mobilità elettrica.
Di tutta risposta Urso propone, come fanno i medici che non sanno dove andare a parare, la stimolazione. Cosa bisogna stimolare? La rottamazione! Certo, il problema sono le macchine che inquinano. Altro non sono che le auto ancora perfettamente efficienti tali da inibire la spinta agli acquisti e alla conferma dei volumi prodotti. Non si capisce perché i problemi di Fiat-Stellantis nella storia della nostra repubblica corrispondano ai problemi degli italiani. Questa narrazione poteva andare bene nell’immediato secondo dopoguerra. Non va bene oggi. L’economia e l’industria italiana si compone di ben altro.
Perdere l’automotive sarebbe un colpo pesantissimo ma è anche vero che questa argomentazione non può essere usata come ricatto ab aeterno.