Era inevitabile. Dopo l’esempio dei tedeschi e dei francesi i nostri agricoltori non potevano fare diversamente. E non si tratta semplicemente di un gioco all’imitazione. Consiste invece nella difficoltà dei tempi moderni di riconoscere il proprio nemico.
Se la terra è certa – “È bassa!” Così recita un antico motto di spirito popolare – non è sempre certo chi tiene le leve del comando. Le regole arrivano da Bruxelles. Ma la capacità di acquisirle in stretto ossequio senza alcuna rimostranza o pratico osteggiamento (come è stato fatto nei confronti della sentenza Bolkestein per i balneari) non c’è stato mai da parte di nessuno dei governi succedutosi in questi decenni.
Sì, perché l’indicazione a non coltivare la terra non arriva da oggi. Né da ieri. Da tempo immemore a molti contadini in Italia veniva detto che era preferibile non coltivarla la terra, evitare la fatica, in cambio di un equo compenso, perché le condizioni del mercato derivate da altri paesi erano di gran lunga migliori.
Il mercato, colui che veramente governa il mondo (magari se fosse vero!), dovrebbe aver stabilito questa metodica pragmatica per cui lavorare la terra è meno vantaggioso di non lavorarla affatto. Un controsenso che non poteva durare a lungo. Ed è per questo che incoraggiati dai colleghi tedeschi e francesi i nostri coltivatori hanno messo in piedi la protesta.
Il valore dovrebbe suonare anche così. Qualsiasi modesto provento dal proprio lavoro è migliore di un guadagno ottenuto per la pattuita facoltà di non lavorare affatto favorendo i mercati turco e russo.
Ma la protesta di questi coltivatori segna anche l’incompatibilità del momento di governo dall’alto verso le diverse necessità provenienti da diversi territori con diverse problematiche. I coltivatori intervistati lo hanno detto a chiare lettere.
Non altrettanto chiaro l’interlocutore giusto con cui parlare a cui portare la vertenza. L’opposizione PD-Cinquestelle ha iniziato a blandire le proteste adducendo ad un aumento di tasse da parte del governo in carica. Difficile stabilire quanto il feeling stabilito fin qui da Lollobrigida & company con la classe dei coltivatori possa durare.
Difficile anche andare a pescare responsabilità e livelli di colpa nella regolamentazione tecnocratica di un bene prodotto da una dimensione esclusivamente naturale.
Somiglia a quella frase nell’ultima serie di Boris in cui l’attrice che contesta la scelta di tenerla fuori perché esclusa dai parametri dell’algoritmo chiede: “ma ce se po’ parlà co’ st’algoritmo?”
È lo stesso per l’Unione Europea. Ci si può parlare? Con chi? Dove possono essere additate responsabilità in atti e decisioni? Ed è per questo che la lotta antica degli agricoltori per il diritto alla terra e il diritto di lavorarla si pone come la battaglia più nuova della nostra Età. Perché non ha un interlocutore vero.