Questa della Sardegna era una prova importante. (Non la prova del fuoco, né quella fondamentale! La politica come attività concreta ne concede di continue nelle quali dare altre attestazioni di sé).
I partiti di centrodestra sono riusciti a sbagliarla in ciascuna delle loro manifestazioni. Meloni nell’intestarsi una campagna politica che non era la sua, facendo il peccato di presunzione tipicamente del leader in deliquio di sé: quello di convincersi di arrivare, sparigliare e sbaragliare, quello di essere l’ago della bilancia, quello di rappresentare la forza in più per la propria coalizione. Quasi sempre non è così. Il leader è un combinato-disposto (quasi sempre) di una dinamica favorevole che vede quel personaggio a capo di una tendenza. Ma a volte questo essere-guida è prodotto di una situazione quasi occasionale. È così attualmente per Giorgia Meloni lo è quasi sempre per i cosiddetti grandi leader del secondo dopoguerra.
IL secondo grande errore è stato di quelli della Lega. Vistisi delegittimati nella scelta del candidato presidente, attestata la sconfitta per la terza possibilità di essere eletto per i presidenti di regione, in molti hanno evidentemente deciso per il voto dissociato: un voto alla lista e un altro al candidato presidente dell’altro schieramento. Si conta così il differenziale del centrodestra col campo largo che partiva da situazione potenziale del tutto svantaggiata.
Ha fatto un errore Forza Italia che per organizzare un congresso e per addivenire a più miti consigli non è stata presente in questa campagna elettorale in modo propellente. O forse non ha voluto. Sta di fatto che il cosiddetto “voto moderato”, attestata la mancanza di moderazione del primo candidato a queste elezioni (uscito con una pessima fama da Cagliari), abbia deciso di astenersi oppure di volgere la loro simpatia al cosiddetto candidato moderato centrista.
Il risultato della Sardegna oggi è visto come una grande avanzata democratica e ringalluzzisce gli animi a sinistra dimostrando il sempiterno motto: “uniti si vince”. Ma il “campo largo” resta tutt’altro che unito e l’atteggiamento situazionista di Giuseppe Conte che, al momento incassa questo successo, dimostra la volontà di non legarsi le mani per qualsiasi progetto dal un valore permanente.
Da questa lezione è anche difficile che il centrodestra impari una conduzione degna di una coalizione di governo. Il precedente e la voglia di ritrosia aumenterà tanto da fare le fortune del cosiddetto “campo largo” che pur restando, ugualmente, assai poco coalizione, potrebbe riuscire a cogliere i frutti degli errori dei propri avversari governativi.
Al momento si è fatto sfilare di mano il pallino del cambio del sistema governo rappresentato dall’elezione diretta del presidente del Consiglio. Argomento di riforma tanto sbandierato da Giorgia Meloni pare sia stato totalmente archiviato. Oggi ne parlano i saggi di sinistra e destra a via della Mercede nella Sala Umberto. Staremo a vedere.