Dare la misura al nuovo quanto di energia stabilito dal cosiddetto “campo largo” appare oggi impossibile. Ma una misura, a guardar bene, c’è: la necessità. Senza questo soggetto – definito solo in teoria ma non presente come entità fisica reale – non ci sono possibilità di vincere. Sì, vincere. Come allo stadio.
(Perché questo è diventata la politica oggi: contesa tra fazioni riottose, ‘à roma contr’à lazio!)
– E ancor più di vincere conta la possibilità di vincere. La credibilità che il mondo ti accredita come soggetto vincente. Se non hai questa possibilità non esisti. Pannella, Berlinguer, Almirante, Rossanda e Capanna oggi sarebbero ubriaconi che parlano al bar. Non c’è accesso alle tribune senza avere realistica possibilità di farcela ed essere il gestore primo dell’ordine delle cose. –
Vincere, innanzitutto sulla propria ira. Su questo mos maiorum temperare le angustie di vicinato. Ma sempre sul dogma di vincere risuona il famoso discorso dal balcone – “Vincere! E vinceremo!”. Senza vittoria non esiste cittadinanza in politica. Questo i nostri soggetti in foto lo hanno capito e giocano con le rispettive esercitazioni di stile per accreditarsi sempre presso l’elettorato di riferimento e alzare l’asticella finalizzando a sorte di trattative favorevoli.
Ciascuno ha una sua storia. Ciascuno un suo dramma, i suoi problemi. La casa è quella dove si sono confinati a causa dei loro rispettivi problemi che non li hanno messi in grado di superare il grado di emancipazione nel mondo. Sono rimasti nel bozzolo. Eppure ciascuno rappresenta una storia.
Sto parlando chiaramente del film Gruppo di Famiglia in un Interno di Luchino Visconti. I soggetti in quei confini che appaiono a ciascuno claustrali sembrano esplodere ma sono proprio quegli stessi confini e quel senso di limitatezza che espande le dinamiche interiori di ciascuno.
Non stiamo parlando di politica ma di conflitti esistenziali. E solo nella misura in cui sono esistenziali riescono, in definitiva, a diventare politici. Esplodo, esploro, mi estendo, quindi sono, e in questo modo riesco a intercettare nuovi soggetti sociali. Anche se in questa azione faccio inevitabili sciocchezze. Stare dentro al campo, invece, porta ad accentuare il senso di oppressione rendendo opaca e scarsamente originale l’azione del singolo – perché sempre rapportata al contesto rappresentato dai confini della casa.
La dottrina di Goffredo Bettini, per cui si deve marciare sempre insieme, si scontra con uno dei fondatori del Pd, Renato Soru, che vuole le primarie per determinare il candidato governatore. Ma anche Elly Schlein per le regioni non le vuole. Abruzzo, Basilicata, Piemonte, Umbria, decisi a Roma. Proprio l’eletta ai gazebo oggi rifiuta la democrazia applicata e organizzata. Ma D’Amico in Abruzzo ha molto sostegno. E anche lì si è deciso nel vincolo della ristrettezza. Ma poi c’è la Basilicata! Si vota il 20 aprile. Anche qui il gruppo di famiglia esorta, litiga, si accorda e irrompe nella rabbia. Conte chiede al PD di “ricominciare”. E allora la solita solfa: prima i contenuti, poi i nomi. E allora l’altra solita risposta: prima chi può vincere poi gli affidiamo le parole chiave e il programma che più ci aggrada. E ci scappa la lite.
Ma di Piemonte? Ne vogliamo parlare? Al tempo della bella politica si mettevano tutte le possibilità sul tavolo delle previsioni e poi c’era la divisione dei pani e dei pesci nel convincimento che arrivasse l’atto taumaturgico a moltiplicarli. E invece oggi si fa un tavolo per ogni problema. E ogni volta una sfuriata nuova nelle stanze di quella casa claustrale. Mai uno psicodramma che scuota tutto e modifichi gli ordinamenti conosciuti.