Le tesi liberali e l’abbraccio della logica liberista nella conduzione del mercato hanno una lunga storia. Si pone Adam Smith come il grande iniziatore con la sua Ricchezza delle Nazioni. Di qui si può fissare l’inizio di questa branca di pensiero. Nel Novecento però ha trovato tanta difficoltà ad affermarsi avendo davanti il pensiero dominante dei vari socialismi reali e degli statalismi più o meno accentratori.
A fare da grande eccezione furono Ronald Reagan che però concise con la corsa agli armamenti, e prima di Margareth Thatcher che applicò la logica della centralità del mercato rifiutando aiuti di stato alle crisi delle attività produttive.
La lezione che ci è arrivata da Luigi Einaudi su quel liberismo dalle derivazioni discutibili guarda invece nel dare piena centralità al lavoro, quello vero, quindi alle imprese, conseguentemente alla diffusione dello spirito di impresa con normale conduzione sociale e condizione elementare del reddito. Diffidava delle finanziarizzazioni, dalla creazione di spinte finanziarie superiori alle vere richieste del fare impresa. Era contrario ad ogni spinta inflazionistica, contrario “a fare il pasticcio di lepre senza la lepre”. Intendeva Einaudi, rispondendo a Keynes, che non si può creare lavoro senza lavoro e conseguentemente senza produzione.
Alla base deve esserci l’attestazione dell’individualità che sostiene le posizioni di ogni singolo. Non ci sono asserzioni universali o sempre valide. Davanti l’accettazione della fallibilità di ciascuno la ricerca verso la verità o verso la soluzione corretta appare maggiormente praticabile, perché libera, laica, priva di condizionamenti a priori.
Di grande attualità resta la riflessione legata al principio di uguaglianza dettato dall’applicazione concreta della giustizia. “Un paese nel quale i giudici non siano e non si sentano davvero indipendenti (…) è un paese senza legge, pronto a piegare il capo dinanzi al demagogo prima venuto, al tiranno, al nemico” – sempre Einaudi.
E poi gli avvertimenti verso ciò che poi sarebbe diventata prassi oggetto di malversazioni e corruttela. “Un industriale al quale un permesso un’assegnazione può fruttare centomila lire di guadagno, si asterrà sempre dall’offrire una partecipazione del ‘dieci’ o del ‘venti’ per cento a chi ha il potere di dare o rifiutare quel permesso?”
Quindi il funzionamento dello Stato, dei diritti dei propri cittadini, della loro capacità di fare e di imprendere diventa la base fondamentale. “Il grande merito dei governi liberi in confronto a quelli tirannici sta appunto nel fatto che nei regimi di libertà discussione e azione procedono attraverso il metodo dei tentativi ed errori. Trial and error è l’emblema della superiorità dei metodi di libertà su quelli di tirannia. Il tiranno non ha dubbi e precede diritto per la sua via; ma la via conduce il paese al disastro”. È come il medico che per tener fede a quanto appreso si ostini in una terapia che però è nociva per il paziente, mentre invece deve essere disponibile a superare quanto appreso per trovare la soluzione giusta per la persona che ha in cura.
Sull’incessante volontà di intraprendere e così affermare l’individuale facoltà del fare liberandosi da giustificazioni che suggeriscono di stare immobili, l’approfondimento del suo messaggio.