Uno stuolo di accigliati benpensanti del bello scrivere si dedicano alla decisione da parte del giudice di rinviare a giudizio lo storico Luciano Canfora querelato da Giorgia Meloni da lui apostrofata come “nazista nell’animo”.
Intervistato dalla La Sette il classicista ha rispolverato il riferimento semantico all’uso linguistico adottato da Lucrezio e poi da Tocqueville dove nell’animo intendeva il fondo dei pensieri che promana dalla persona, anche quando non emerge in tutta la sua evidenza. Una derivazione semantica che in fondo non deroga da quella del senso comune.
La querela dell’allora esponente politico Giorgia Meloni si presenta, quindi, come atto dovuto dalla stessa. Se non lo avesse fatto la definizione sarebbe risultata accettata dalla stessa. Il fatto che ci sia una querela ha indicato la differenza che l’esponente politico Giorgia Meloni tende a rimarcare da lontane derivazioni ideologiche.
Il fatto che, tra la dichiarazione di Canfora e il pronunciamento della magistratura, nel frattempo Giorgia Meloni sia diventata presidente del Consiglio non aggiunge e non toglie nulla al fatto che questa cosa sia stata detta. E non ci sono ragioni per definire il contenzioso con una rinuncia da parte del presidente del Consiglio. La ragione potrebbe essere solo nel fatto che con il raggiunto status si potrebbe dubitare di influenza nei confronti della magistratura. Ma è proprio questo che deve essere escluso. Un giusto esame su quanto il dare un giudizio possa costituire elemento di offesa all’onorabilità.
Ma il giudizio detto da uno storico insigne ha un altro peso specifico che se a dirlo sia un qualsiasi squinternato su un Social. La dichiarazione di questo tipo viene ripresa, rilanciata, fa il giro delle agenzie e qualche giornale ci fa anche il titolo con i virgolettati. Tutto questo non è offesa per l’onorabilità?
Perché una persona così in alto dovrebbe rinunciare a difendere il suo prestigio personale solo perché siede nello scranno più alto di Palazzo Chigi? Se così fosse a un qualsiasi premier si potrebbe lanciare qualsiasi epiteto venga in mente con la certezza dell’impunità assoluta.
Giusta è stata la querela e giusto è stato il rinvio. E in fin dei conti ci dice molte più cose della Meloni di quanto possa dirci dello storico. In questo modo Meloni ha detto che vuole tracciare un solco tra sé e una certa storia, non sua ma di lontana derivazione ideologica.
Chi cercava con insistenza il pronunciamento di Giorgia Meloni come antifascista si trova adesso accontentato. Forse potremmo dirla come una vittoria dell’antifascismo. Anche perché lanciare epiteti in modo gratuito è un retaggio di tipo fascista.