In Europa c’è la guerra da due anni. In Ucraina si combatte e altrove si ragiona e ci si posiziona. Il sillogismo lo svolge Emmanuel Macron. Ed è probabilmente colui che ha il bene di dire quello che pensa: “in Ucraina è in gioco la sicurezza dell’intera Europa”. È questa la base auto-evidente sulla quale si muove la prima asserzione del sillogismo francese.
“L’escalation parte dal Cremlino”. La seconda asserzione che pone sul piano dell’autoevidenza.
“Prepariamoci alla guerra. La Russia non deve vincere, e non escludo l’invio di truppe”. La conclusione.
Ha scelto le reti unificate il capo dello Stato francese per rimarcare la specificità della posizione della Francia. Il tono è chiaro ma solenne: “volere la pace non significa scegliere la sconfitta”. E ancora: “la Russia non può e non deve vincere questa guerra”. E senza infingimenti: “in caso di necessità dobbiamo farci trovare pronti”. Solo che diventa discettabile la dimensione della necessità, quindi poco attinente col suo concetto. In altri termini, quando è che l’Europa o la Francia, di cui Macron si elegge portavoce, riscontrerà uno stato di necessità? Chi lo decide?
IL concetto chiaro ed evidente che Macron vuole trasmettere consiste nel fatto che i fatti di Ucraina ci coinvolgono direttamente e in caso di vittoria della Russia anche la Francia ne avrebbe gli effetti.
In tal senso alza l’asticella delle dichiarazioni uscendo dalla moderazione per entrare nella solennità di chi ostenta l’orgoglio di sentirsi qualcosa di speciale. Come se servisse dare una scossa al resto del contesto europeo, almeno nelle cose che si dicono e negli avvertimenti da dare.
Non esclude quindi l’invio di truppe in Ucraina con l’ingresso vero e proprio nel conflitto. Le opzioni militari sono sotto esame. Subito dopo però attenua: “ma non siamo sicuri di farlo al momento”.
Il commento razionale, incredibilmente, arriva proprio da Putin secondo cui: “quando si ha a disposizione l’arma nucleare, non è pensabile pronunciare minacce”. E sibillino esplica un rapporto di chiarezza col presidente francese dicendo: “gli ho parlato ogni volta che è stato necessario”.
E non si capisce quindi se stavolta non è necessario stimando le bordate di Macron come sortite elettoralistiche o se invece lascia le invettive sul piano delle parole perché non sussistono motivi sostanziali sui quali ritornare: non c’è violazione dei confini, non ci sono accordi contraddetti o cose simili. Oppure se una richiesta di chiarimento potrebbe apparire come segno di debolezza da parte della Russia.
La risposta è affidata al nostro ministro degli Esteri Antonio Tajani che dice chiaro e tondo di non essere in conflitto con la Russia. Ma, anche qui, forse sarebbe stato meglio che a parlare fosse il presidente del Consiglio in persona. E poi nessuno gli ha chiesto di dichiarare guerra, solo di commentare le asserzioni di Macron.
Ma è Macron che parla di noi, del resto d’Europa, commentando coloro che vogliono limitare il sostegno all’Ucraina, cosa che la Francia non farà: “Bisogna essere forti e pronti a sostenere la propria posizione”. L’appello è stato ripetuto all’incontro di Berlino con il Cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e il premier polacco Donald Tusk. Sempre Macron ha messo in guardia contro la crescita dei “nazionalisti” alle elezioni europee di giugno, escludendo tra questi Giorgia Meloni. All’Economist ha detto che la nostra premier ha un “approccio europeo” e sottolineando di aver “sostenuto il patto di asilo e migrazione”.
In sostanza per mostrarsi forti in casa si rischia che i propri muscoli li vedano e li stimino nella consistenza anche altri. Con abbassamento di stima e deprezzamento di uno sforzo di coesione. Non indebolisce solo chi dice di volersene andare ma anche chi fa fughe in avanti.