Piazza San Pietro offre sempre grandi motivi di riflessione. L’ultimo fu dato in piena pandemia con la piazza vuota e il solo Pontefice a celebrare il Venerdì Santo. Ieri però un altro evento, apparentemente leggero, ma non meno rivoluzionario per i rituali di Santa Madre Chiesa. Un comico – e che comico! – ad officiare la Giornata Mondiale dei Bambini. Quel comico che aveva lambito la scomunica per aver pronunciato la parola infamante “Wojtylaccio”.
Ne era scaturito un dibattito parlamentare che intendeva capire la carica corrosiva e blasfema di quella espressione. Lo stesso comico oggi fa il verso il verso di voler ballare col Papa, parla ai bambini come suo ospite, si fa portavoce della fratellanza tra tutte le persone, quello stesso sentimento cordiale che il Papa predica ogni giorno in opposizione alla guerra.
Nessuno teme di rubare la scena all’altro. Benigni non avverte ambasce per il suo show davanti a tanta piazza e a tanto ospite. Il Papa non teme di regalare la piazza al campione di un umorismo laico e irridente. C’è anche Giorgia Meloni con la figlia in prima fila, ma passa in secondo piano perché la scena è loro. Anzi è sua.
Il discorso sostanziale: “Il mondo è governato da persone che non sanno cosa sia la misericordia, l’amore. E così commettono il più stupido dei peccati, la guerra: una parola brutta, che sporca tutto. Dobbiamo porre fine a questa cosa. Perché quando i bambini giocano, appena uno si fa male, si fermano, fine del gioco, e invece quelli che fanno la guerra non si fermano al primo bambino che si fa male? La guerra deve finire”. Ma la domanda è chi ha parlato così? Benigni o il Papa? I due potrebbero sovrapporsi.
Ma la lettura più esplicita di questa giornata è che non si tratta della distensione dai conflitti vista da un bambino bensì di come noi ci ostiniamo a percepire la prospettiva del bambino perché ci siamo dimenticati di esserlo stati.
Si tratta di una bella esplicazione del Kitch che ci attanaglia e spodesta gli spazi un tempo ben lontani dalla finta elevazione del mondano. Da una parte un pontefice che non sa ridare alcunché al bisogno di trascendenza nella vita. Dall’altra un comico che da tempo non fa ridere e allora si lega al sacro (Dante, la religiosità) essendo lui profano e mondano.
Ma poi il tutto viene ripreso nella sola sostanza possibile. “Un bacio però glielo posso dare, a che servono i baci se non si danno?” – si chiede Benigni in direzione del Papa – È un bacio che arriva da tutti loro, che ne vale centomila”. Ecco, proprio così. Baciamoci.