I percorsi di Santa Madre Chiesa fanno sempre riflettere sull’esistenza di una razionalità superiore in grado di dare spiegazione a modificazioni nel corso della Storia. Revisioni e aggiustamenti trovano esplicitazione sempre nella lettura attenta dei contesti storici per cui l’errore non sta nella “bolla papale” quanto nella mancanza di conoscenza delle contraddizioni che la più antica istituzione dell’umanità si trovava a fronteggiare, in quella specifica situazione. Affiora così la razionalità di tutto. La scomunica a Martin Lutero, il pericolo del proliferare delle tesi panpsichiste e animiste di Giordano Bruno, il processo a Galileo Galilei, fino alla resistenza per il formarsi di uno Stato unitario in Italia o il Concordato dove si continua ad essere riconosciuti come Stato vaticano e non come semplice e assoluta emissione del messaggio evangelico.
In estrema sostanza, una storia complessa e irta di contraddizioni quella della Chiesa.
Ma l’uscita riferita al Santo Pontefice e non smentita dalle segreterie vaticane lascia spazio per l’ingegno teoretico di trovare una coerenza tra il Papa che in aereo diceva ai giornalisti: “gli omosessuali? E chi sono io per giudicarli?” Col Papa che invece esorta i vescovi a invigilare affinché certi comportamenti non prolifichino all’interno dei seminari e poi nelle cose della vita evangelica sacerdotale.
A ben guardare però le due asserzioni trovano una coerenza. Qui non si tratta di giudicare i comportamenti di nessuno né tantomeno di definirne uno corretto. Si tratta semplicemente di non veder degenerare comportamenti che possono proliferare con la complicità di una situazione claustrale, quale è quella del seminario. In tal senso, quindi, la presenza del mondo omosessuale è un fatto oramai conosciuto nella sfera dell’esercizio sacerdotale. Nessuno lo giudica. Ed è il Papa stesso che se n’è chiamato fuori col breve discorso fatto ai giornalisti prima menzionato – “chi sono io per giudicare?”. Si richiama così il più grande e inarrivabile asserto della tradizione cristologica: “non giudicate e non sarete giudicati”.
Tutto perfettamente coerente. Ma lo è anche con l’esercizio di una disciplina a cui per assurgere si deve comunque addivenire a degli ordini spirituali che non si confanno con una condotta in grado di gestire gli impulsi della fisicità.
Non si tratta di parlare nella sfera della persona nella quale ciascuno costruisce la propria gerarchia e si conforma secondo i propri bisogni e su cui non si chiede di giudicare.
Qui si tratta invece di dare a un organismo collegiale il senso della tensione verso l’Altissimo e insieme verso le richieste che arrivano dalla società concreta. In questa doppia tensione non ci stanno dentro le indulgenze nei confronti di sé stessi né la pratica di vederli confortati da un clima di facilitazione, data la riservatezza degli ambiti seminaristi.
Un ultimo accento è però da dedicare allo stile verbale troppo libero per esser stato detto dal Pontefice. Ma noi non abbiamo dichiarazioni, solo indiscrezioni. Quindi in mancanza di “ipsissima verba” non si può istituire un giudizio sulla frase troppo libera perché questa frase potrebbe non esser stata detta esattamente in questi termini.
E si conferma che Santa Madre Chiesa ne sa sempre una più del diavolo. Sa trasgredire e insieme trovare l’inganno per celare la trasgressione.