La scossa c’è stata. I palazzi non sono crollati. Hanno sostanzialmente tenuto ma la gente se n’è accorta che questo quadro politico non tiene più, anche se sarà riproposto in una soluzione sostanzialmente similare alla precedente. È che ciascuno in Europa si è ritrovato con meno soldi, meno prospettive, zero senso del futuro, due guerre e sempre più inczzat! L’opzione verso i partiti di destra in Francia e Germania si spiega in questo modo. Ma continuando nella descrizione dello stato di fatto, tutto questo non riduce la portata storica del quadro centrista fortemente incrinato. Si afferma elettoralmente la convinzione, permeata già in tanta pubblicistica, che lo spessore dei nostri leader non è tale da metterli nelle condizioni di gestire una fase così delicata, dove i compiti sono nuovi, dove nuovi sono gli avversari specialmente in campo economico, dove è impossibile e folle predicare l’Unione e poi lavorare ciascuno come buon provinciale teso solo agli interessi del proprio giardino.
Unione e territorio italiano in tal senso si somigliano. A casa nostra il redde rationem di tante battaglie nostrane in cui ci sono degli inaspettati promossi e altri che dovranno cambiare mestiere o cambiare discorso (cosa per loro ancor più difficile).
Vince Salvini che in molti davano come morto che parlava. Porta a casa i cinquecentomila voti di preferenza personale su Vannacci e dimostra che la sua trovata era quella decisiva. Sono i voti che servono per superare la quota del nove per cento e se non riescono a superare la quota di Forza Italia danno compattezza a un progetto, il suo, e a un discorso, sempre il suo. Dimostrano però che la politica oggi ha bisogno di personalità forti in grado di rappresentarla, non solo del progetto, non solo della visione, non solo del programma. Serve la persona di empatia col proprio elettorato che convinca i più riottosi a confermare la loro labile fiducia al primo riferimento di appartenenza.
Lo stesso può dirsi di Giorgia Meloni che ha avuto tre ruoli in commedia. Il presidente del Consiglio, il leader di partito, anchor woman ineccepibile, riuscendo ad essere la migliore testimonial di sé stessa nonostante un’opposizione incrociata contro di lei, nonostante non avesse portato a casa misure del tipo bonus per il cittadino o per il disoccupato. Ha confermato un dato schiacciante pur essendo quasi da due anni al governo e tutti sanno come in Italia governare penalizza fortemente sulla simpatia elettorale perché produce sempre scontenti.
Ma la grande performance silenziosa è per Antonio Tajani che nonostante il successo degli altri due massimi rappresentanti di coalizione riesce a lambire quella fatidica soglia del dieci per cento e soprattutto non farsi superare di Matteo Salvini.
Ma anche l’altra parte della barricata sorride dal referendum degli italiani mascherato da elezioni europee. Elly Schlein si rafforza nel suo progetto pluralista di presenze variegate nel Partito Democratico dove conciliando Tarquinio con i più fedeli seguaci della Nato conferma anche e sostanzialmente le amministrazioni uscenti tendendosi per il partito ben al di sopra di quella soglia del venti per cento da molti, per lei, considerata anche a rischio.
Si afferma anche a sinistra il progetto dei Verdi e Sinistra che si era caratterizzato (come Vannacci per la Lega e Tarquinio per il PD) con una candidatura eterodossa: Ilaria Salis. Al momento in cui si scrive questa nota non si conosce ancora il risultato effettivo della sua performance, se ce la farà a passare nel parlamento europeo. Di sicuro il suo apporto è stato considerevole ed ha dato una spinta al progetto della sinistra più attenta alle tematiche in cui è imprescindibile il livello di conflittualità con l’attuale. Ed è un segno, questo, che dall’altra parte della barricata, conferma il dato per cui questa Unione e questa impostazione burocratica dei poteri non piace. Non piace almeno alla maggioranza degli elettori, non volendo considerare gli oramai fisiologici non votanti.
Ma queste elezioni segnano due grandi sconfitti. Si chiamano Carlo Calenda e Matteo Renzi. Giocare a fare Cric e Croc ai due non è servito. Il dividersi per fare il pieno ciascuno e misurarsi sui voti nel tentativo di contare di più non ha funzionato. L’impresa era temeraria dall’inizio, era votata a questo verdetto. Ma sorprende tantopiù per Matteo Renzi che però attorno a sé aveva creato con Emma Bonino un ambiente più inclusivo di quello fatto dai primi della classe, quali sono i riformisti citati nelle continue vesti dei grilli parlanti. Sono queste figure che non piacciono. Pinocchio ci insegna come vanno a finire. E anche se hanno ragione debbono trovare nel messaggio, nel porsi, nella capacità di creare movimento attraverso le rispettive personalità, il modo di farsi ascoltare e fare sistema. Come invece hanno saputo fare Salvini, Meloni, Tajani e Schlein. Esce sconfitto anche Giuseppe Conte. Ed è una categoria nuova in questo quadro perché avrebbe avuto i margini dialettici per vestire nuovamente i panni dell’anti-sistema. Ma quando hai ripreso la più accomodante l’abito dell’avvocato tattico, tutto preso a gestire i rapporti con il partner di possibile alleanza, è difficile poi ridiventare rivoluzionario.
Ma la rivoluzione in Unione non la farà nessuno. Semmai aumenteranno ancora gli scontenti, anche tra quelli che ritenevano di saperla lunga.