Due esempi vicini nel tempo. Una coincidenza discutibile per non pensare invece a una sorta di piano concordato contro i grandi bastioni dell’innovazione elettronica.
In Italia l’Agenzia delle Entrate va nuovamente all’attacco di Google. Vuole un miliardo. Sarebbero le tasse che il colosso non ha pagato o dovrebbe pagare nella compiutezza dei conti. Eppure, sempre Google aveva pagato trecentosei milioni. Ma è solo il primo dei casi.
Saltando a Bruxelles arriva un rendiconto ad Apple che starebbe violando alcune norme del Digital Markets Act relative agli obblighi alle grandi piattaforme online. Si tratta del primo avviso che anticipa sicuramente la mossa di una serie di verifiche tese ad attestare come quello Apple sia un mondo chiuso teso a far circolare pubblicità e soldi vincolando il mercato aperto.
Sono due casi ben distinti che mostrano una sorta di invidia da parte dello Stato nei confronti di un ambito del pianeta impresa, quello telematico, del tutto svincolato dai dettami pubblici e che per forza economica potrebbe riuscire in breve a dettare condizioni. Se non lo fa già.
Sono diventate cronaca situazioni come quella nei confronti di Netflix che in Italia ha pagato 55,8 milioni di euro nel 2022.
Chiaramente stiamo parlando di attività con fatturati pazzeschi che debbono riconoscere nelle realtà in cui risiedono il giusto corrispettivo all’Erario. Ma è anche vero che si tratta di grandi imprese tese costantemente a grandi investimenti nell’innovazione e per questo creatrici di nuovi posti di lavoro. Occasioni da sollecitare non vacche da mungere.
E poi c’è l’invidia a cui prima si accennava verso le potenzialità a cui si arriva attraverso la tecnologia. Vette per cui i rituali e la retorica della politica parlata sono derubricati a Medio Evo. Questo si capisce e si sa. E quindi dà molto fastidio. La bestia muove gli artigli e la coda prima di esser abbattuta.