Mentre il Regno Unito compie una svolta storica di indirizzo e di programma nelle vicende della sua gestione nazionale. Mentre nelle stesse, in Francia, si è attivato un dibattito che coinvolge le categorie di conservazione e di governo dell’attuale con una Marine Le Pen in impasse per lo scatto finale. Mentre negli Stati Uniti si discute sull’eminente questione della presenza in salute della persona fisica del proprio presidente, questione non riducibile ai dibattiti stancanti sui rapporti di potere tra le diverse sedi di amministrazione. Mentre avviene tutto questo la nostra solita Italia gioca col batti e risposta alle parole del Presidente della repubblica. E non si sa bene se ciò è dovuto a nequizia dei cronisti che non sapendo fare il loro lavoro si adagiano sul gioco dei virgolettati avversi oppure se un paese in crisi non sappia dare e dire alcunché di innovativo.
Sta di fatto che l’eliminazione al torneo calcistico europeo ben rappresenta la marginalità del nostro paese, non solo nelle decisioni ma anche nella capacità di dare idee, imprimere spinte, innovare il dibattito.
La caratterizzazione di tutto questo sta nella stanchevolezza delle nostre discussioni ricorrenti che non sono in grado di produrre riforme sostanziali oramai da trenta anni. E quello che arrivano a risultato sono contestate nel tempo: vedi la riforma del Titolo Quinto della Costituzione. Dovevano andare verso un rafforzamento degli enti regione per arrivare a una loro autonomia impositiva e di gestione amministrativa, ma tutto questo ha determinato una voragine di spese ancora maggiore. E la Sanità ne ha tratto la peggiore delle conseguenze.
Lontana la riforma della Giustizia, lontanissima la riforma dell’organizzazione dello Stato con la ridistribuzione dei poteri. Ed è proprio su questo ultimo tentativo che sono ripresi i bisticci tra la massima autorità statale e il sottobosco di malpancisti di governo (Salvini) con gli altri attenti a riprendere le redini per tenere il dibattito entro un ordine di decenza (Meloni e Tajani).
Da noi per decidere ci vuole un tempo siderale. Quando si decide è con strascico di polemiche che continua negli anni anche dopo “cosa fatta”.
Una questione centrale in questo malessere profondo è sicuramente nel metodo. Innanzitutto come selezionare la classe dirigente. Come arrivare al giusto equilibrio tra rappresentanza e facoltà di decidere nell’equilibrio dei rapporti per nessuna camera di governo diventi un’istituzione assoluta.
E allora la lezione ci arriva proprio dagli isolani britannici. (Chi scrive lo ammette senza compiacimento ma è una realtà da accettare). Un sistema maggioritario in cui si divide il territorio in collegi e chi ha la maggioranza esce in modo chiaro ed evidente. Ed è nella gestione di quell’aula come esce dalle urne e nell’eventuale mediazione dei partiti, nominare il presidente in virtù del riferimento al personaggio più rappresentativo della vittoria elettorale. E questi sono fatti. Le nostre sempre e solo parole.