In Italia è tutto un discettare sulle politiche francesi e ciascuno degli oratori di parte si sente vincitore a modo suo. I sovranisti per il successo indiscutibile ottenuto comunque da Le Pen. I centristi perché l’affermazione di un sovrano che appariva decotto come Macron smuove la suggestione della rinascita. I compañeros che non davano un soldo di fiducia a Malechon ma vedere in affermazione così sostenuta fa pensare che nel mondo c’è un destino e sta cambiando a favore della vecchia lotta di classe.
Gli italiani si collocano facilmente in questa dialettica perché piace l’idea di sentirsi comunque vincitori. E il senso di queste elezioni francesi un po’ lo danno a tutti ma non è detto che tutto questo, all’indomani del voto, faccia bene alla repubblica.
Si dovrà governare con questi rapporti di forza notevoli e sarà favorito l’effetto della campagna acquisti in altre formazioni da parte dei macroniani e di quelli che non vogliono buttare alle fumosità di una nuova stagione di antagonismo i risultati ottenuti domenica scorsa.
Ed è allora che si dovrà utilizzare un’altra arte, anche questa tutta italiana, del cucire e del rammendo in politica. Tante angolosità andranno riviste, tante acrimonie andranno ridimensionate, tanti motivi di attrito ridimensionati per il bene pubblico e per consentire la constatazione per cui questo quadro è meglio della destra pronta a subentrare alle presidenziali.
Sì, perché la Le Pen è sempre pronta a subentrare con la sua massa certa del trenta per cento. Ed è anche sul gol mancato della Le Pen si dovrebbero fare delle considerazioni a posteriori.
Tipo: perché di tante candidature improbabili in circoscrizioni che potevano essere contendibili?
Perché candidare un ventottenne con una quantità limitata di pubbliche relazioni e incapace di impressionare con il suo marchio personale di fabbrica la proposta all’elettorato?
Come se Le Pen non intendesse vincere ora spendendo così in un Parlamento che, anche laddove avesse avuto maggiore consenso e avesse potuto esprimere il presidente, non avrebbe avuto piena facoltà di azione.
Sono ragionamenti a giochi ultimati e a bocce ritirate. Ora contano i numeri e la voglia di contare. La Francia ne ha tanta. I numeri non le consentono di sviluppare appieno l’azione della sua anima vincente (almeno una delle tre rappresentate sul campo). Dovrà mediare tanto al suo interno. Ma rifiutando di prendere lezioni dall’Italia continuerà la sua eterna alternanza tra orgoglio e cordoglio.