L’inizio di quel terzo set tra Sinner e Medvedev segna un punto a favore sull’aura già grande del tennista altoatesino, dato per vincente sempre. Vincente a prescindere. Ha offerto ai suoi ammiratori il mito del campione invincibile, determinato, concentrato, e anche simpatico, leggero ironico. Un personaggio perfetto. Quasi troppo.
Il piccolo malore in piena gara, la ripresa dove in alcuni tratti è anche tornato a convincere, e poi la sconfitta che presto o tardi doveva arrivare ha ridato al divo quel crisma di umanità che anche gli dei debbono dare per non apparire lontani, inavvicinabili, fuori da ogni possibilità di condividerne le gesta.
E in quegli undici minuti i suoi sostenitori acclamanti avranno forse temuto che era arrivata la prematura fine di un sogno. Un campione abdicava in piena affermazione nel mondo. Ma poi ha smentito i timori ed è rientrato. Ha voluto smentire l’iperbole che era stata costruita su di lui. E non voleva uscire dal match come perdente. Evidenziare la sua momentanea fragilità lo accosta assai di più agli umori dei fans.
Un vincitore non può contraddirsi rimanendo sconfitto nel campo più prestigioso e tradizionale. Meglio aggirare la sconfitta continuando ad essere lui il protagonista di sé stesso. Ed è questo il sogno che ci ha lasciato ieri a Wimbledon, Jannik Sinner.
Eliminato da Wimbledon tra una settimana lo ritroviamo a Bastad per rinnovare la celebrazione della gloria. Ma stavolta sarà indipendente dal risultato finale perché l’evento sarà lo stesso Sinner, qualsiasi sia la performance agonistica.
E sarà come per l’ in-vulnerabilità di Achille che nel momento in cui è scoperta, suo malgrado, rende l’eroe più apprezzato dal lettore per le sue gesta. Lo percepisce come più vicino a lui.