Il nuovo mandato di arresto con relativi nuovi arresti domiciliari sono state le botte che hanno sciolto ogni riserve. Era infatti stato raggiunto da nuova ordinanza con l’accusa di finanziamento illecito. Giovanni Toti con una nota scritta a mano si dimette spiegando che nel tempo intercorso era eticamente doveroso per la sua gestione politica far approvare l’assestamento e il rendiconto di bilancio.
Gli arresti domiciliari erano scattati il 7 maggio. L’accusa è di corruzione. Le elezioni si prevedono quindi tra tre mesi e già la Lega ha rilanciato per organizzare la sua campagna col centrodestra, ma i commenti danno un presidente rimasto di fatto isolato in questa fase, senza la solidarietà solida di alcun esponente della sua alleanza. Del resto, si ricorda che Toti è un transfuga di Forza Italia, non fa pare della grande triade ma di un piccolo partito che le ruota attorno. Non aveva padrini a difenderlo. Ed ora se ne sta a casa privato delle prerogative date dallo status di eletto. Dovrà pensare a una vita nuova, oppure a rifondarsi in politica, ma soprattutto a difendersi, perché le due procedure giudiziarie sono di fatto appena iniziate.
La sua vicenda è finora passata in secondo piano. Gli aggiornamenti politici erano troppo intenti a riprendere i virgolettati di Meloni o di altri bontemponi per misurare il grado di mancato antifascismo. Oppure erano attenti a misurare il livello di leadership gestita da Elly Schlein per occuparsi di un caso che non muove la fantasia letteraria delle menti dattilografe dei grandi giornali.
Toti è personaggio a sé. Un parvenu cresciuto dalle fila del giornalismo e cresciuto incredibilmente tra le fila di Forza Italia, una volta raggiunta posizioni di rilievo ha avuto il coraggio di dire no al padrone e ricominciare un’altra avventura in una piccola forza moderata di liberal democratici. E in quella che era uno sparuto gruppo di deputati è riuscito ad essere scelto come candidato del centrodestra per la Liguria.
Dopo questa resistibile carriera, cosa voleva pretendere? Poteva svolgere il suo ruolo buono buono vantando dei profitti politici arrivati dalla gestione del porto di Genova e delle risorse dall’Europa … Niente di tutto questo! Toti si dà da fare. Esagera. Esagera sicuramente. Vuole trattare in prima persona con le persone che contano. Vede i portatori di interessi, chiede loro qualche aiutino per la campagna elettorale che in Italia non finisce mai, ma sollecita, fa forzature necessarie, muove mari e monti per la sua Liguria. E lo fa in modo sicuramente spregiudicato. L’amministrazione pubblica ha bisogno di tempi, di procedure, di protocolli, di modalità asfittiche per chi vuole fare e ha fretta di fare. Ma sono necessarie per la correttezza delle procedure di un’organizzazione sociale democratica. Tutto vero, tutto giusto. Ma un buon amministratore sa perfettamente che se non poni qualche forzatura alla macchina burocratica questa non si muove o si muove con una lentezza inconciliabile coi processi della Storia.
Da questa vicenda potrebbe trarsi ispirazione per una pièce teatrale concentrata su questo dilemma. Ma Toti non appare personaggio teatrale. Non ha mai predicato la ribellione, non ha mai trascinato le masse utilizzando i media, non ha mai scritto delazioni di Stato sul web … Non è di tendenza. Quanto a lui successo però fa riflettere. Ma chi vuole più farlo ai nostri tempi?