L’ha detto e l’ha fatto. Tra sabato e domenica in Libano gli israeliani si scatenano con attacchi su Majdal Shams, in Libano. L’effetto conta altre dodici vittime da aggiungersi al lungo conteggio dei morti di questa guerra.
IL clima fornisce tutte le premesse per un’escalation inarrestabile dove ogni accenno a una trattativa per il rilascio degli ostaggi e la fine degli atti di guerra diventano una pallida illusione.
Ma è in questa condizione improbabile che a Roma dovrebbe essere teatro, oggi, di un incontro teso ad arrivare su come rilasciare gli ostaggi e al cessate il fuoco.
Si incontrano Cia, Mossad, Qatar ed Egitto per accordo sul cessate fuoco e ostaggi. Ad incontrarsi dovrebbero essere il capo del Mossad David Barnea con il direttore della Cia William Burns, il premier del Qatar Mohammed bin Abdel Rahman al-Thani e il capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamal per discutere dell’accordo sugli ostaggi. Consiste nella continuità sul precedente incontro di Parigi e in Egitto.
Ma nella Roma falcidiata dai cantieri i romani si chiedono: “perché proprio Roma?” Si risponde che è in relazione alla forte presenza della diplomazia italiana di cui Food for Gaza è stata l’emblema.
Le basi di partenza per aprire una trattativa sono improbabili sia per le richieste dei diretti interessati oltre che per la tensione determinata da ieri dopo il primo attacco su Israele e la risposta in Libano. Netanyahu vuole che si metta in piedi un meccanismo per monitorare il movimento di armi e militanti palestinesi dal sud della Striscia di Gaza al nord. Insieme a questo vuole anche mantenere il controllo del cosiddetto ”Corridoio Filadelfia”. Si tratta della striscia tra Gaza e l’Egitto.
Da quanto si legge dalla fonte israeliana del sito Walla ci si vuole concentrare sulla strategia da seguire e meno su negoziati veri e propri. Nello stesso organo si esclude che a Roma si arrivi a una svolta. Minimizzano anche l’intervento di Biden su Netanyahu.
Con queste dichiarate presenze non si capisce perché debbano vedersi a Roma se non per scambi di cortesie che potrebbero risparmiare attenuando invece il rilancio alla distruzione dell’altro.
Con le ultime dichiarazioni di Netanyahu per cui Hezbollah pagherà un prezzo alto non si comincia alcuna fase di distensione. E non si capisce perché il rituale delle diplomazie debba viaggiare su una lunghezza diversa della realtà effettuale.
Decidere il luogo di una trattativa deve significare stabilire il piano di mediazione reale tra due parti, non decidere dove incontrarsi.