La distanza tra i due rappresentanti dei due schieramenti negli Stati Uniti segna la differenza tra due idee del mondo. Non tra due mondi. Entrambi fanno parte dello establishment e ciascuno dei due schieramenti accusa l’altro di farne parte col gravame quindi di distacco dalla realtà concreta e l’accusa di perseguire solo gli interessi di casta. Nessun self made man come nel Regno Unito, che resta l’emblema di democrazia più convincente.
Trump è portatore di una visione molto avvertita negli States. Vuole un paese che si occupi semplicemente di sé, dia la linea, con la sola condizione per gli altri di seguirli o rimanere abbandonati alle temperie tecnologico, militari, energetiche del mondo. Si chiama unilateralismo della politica estera. Quindi risolvere i legami con gli alleati. Possono seguire i dettami degli Stati Uniti o essere lasciati al loro destino.
La concorrenza sul piano commerciale risolta coi dazi doganali. Chiudere la sbornia mondiale del globalismo facendo accordi bilaterali in cui gli Stati Uniti tratterebbero in condizione di predominio con ciascuno dei paesi.
In questo modo regolare lo strapotere della Cina, il militarismo russo e l’affacciarsi al mondo con ruolo del tutto nuovo di Brasile, Sud Africa e Turchia.
In politica interna sempre Trump vuole abbassare le prerogative del Congresso per farle assumere dal suo esecutivo. In questo modo presenziare anche il Dipartimento di Giustizia e riprendere in mano tutta la gerarchia militare all’estero e nei servizi segreti.
Diametralmente opposta, Kamala Harris. Secondo la vicepresidente che vuole salire il gradino massimo si deve incrementare il sistema di alleanze. Dare maggiore rilevanza alla Nato. Conferma in tutto e per tutto quanto fatto da Biden in termini di sostegno all’Ucraina dell’America nel mondo. Ha confermato il suo sostegno militare all’Ucraina.
Sul Medio Oriente però sostiene Israele, ma intende anche sostenere anche i palestinesi e le falcidie subite dall’esercito di Netanyahu. Non c’era quando il premier israeliano ha parlato a Congresso e questo dice tutto sulla sua presa di distanza dalla sua modalità di governo.
Diversamente da Trump, Harris dà grande valore rilevanza al Congresso dando importanza ai dipartimenti della presidenza. Rifiuta ogni guerra, anche tariffaria, tenendo l’Europa come sorella. Bisogna vedere però come se la caverà davanti l’intraprendenza del nostro continente nelle interazioni commerciali col suo paese.
In Trump, il binomio unilateralismo nel mondo, centralismo in casa e protezionismo commerciale di chiude il trittico. Con Harris invece il multilateralismo nei rapporti, l’apertura ad altri poteri e il riconoscimento dei paesi storicamente legati al proprio influsso segnano una continuità che è proprio l’oggetto del contendere negli Stati Uniti. Perché è chiaro che qualcosa nello schema di questo paese deve cambiare. Ma è difficile stabilire quale. Harris rappresenta la novità come immagine, ma non lo è nei fatti.